Regia di Francis Lawrence vedi scheda film
Si parte con una Katniss senza voce, il suo canto della rivolta spezzato dall’ex alleato/amico/amante Peeta. E il capitolo conclusivo della saga di Hunger Games si àncora tutto al suo tentativo di riappropriarsi di se stessa e delle sue scelte, svincolandosi dalle manipolazioni che altri - il regime di Capitol prima, i rivoluzionari del Distretto 13 poi - hanno fatto finora della sua immagine. La struttura è, come in molte saghe young adult, ancora quella del (video)gioco: un obiettivo da raggiungere (e qui non è solo sopravvivere, ma uccidere il presidente Snow), un campo letteralmente minato di ostacoli da attraversare, alleanze da costruire. L’impalcatura di Hunger Games è sfacciatamente evidente: le logiche di storia e personaggi si piegano alla necessità di costruire un tavolo da “gioco” e la critica sociale alle mistificazioni di media e spettacolo è tanto gridata da svuotarsi di senso. Cosa resta? Un film di guerra che sfreccia veloce verso il suo bersaglio, per poi arrestarsi d’improvviso in un profluvio di finali anticlimatici. Un adattamento tanto fedele alla fonte di partenza da ereditarne tutti i difetti. Un pessimismo che sa più di nichilismo adolescenziale che di realpolitik. Una confezione che è un impasto poco amalgamato: sequenze action piene d’adrenalina improvvisamente viziate da una fotografia confusa, dialoghi banali consegnati ad attori troppo bravi per la parte. E una fine che forse, date le premesse, non poteva essere diversa.
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