Regia di Jean-François Richet vedi scheda film
Un uomo alcolizzato vive solo nel deserto facendo tatuaggi, nel ricordo di una figlia fuggita poco più che bambina di casa. Quando questa torna, in un mare di guai, John avrà l'occasione di dimostrare ciò che vale. Thriller "americano" con situazioni viste mille volte, girato sui ritmi veloci e la violenza sanguigna di certi "film '80-'90. Inutile.
FESTIVAL DI CANNES 2016 – FUORI CONCORSO
Mel Gibson torna anche in veste di attore (oltre che di regista dell’esaltato e tronfio Hacksaw Ridge), dopo qualche anno di sordina scontato a risolvere beghe o problemi personali, forte solo di qualche apparizione più o meno di lusso (I Mercenari 3, Machete Kills).
Pure il suo personaggio nel film ha dei problemi, e ne sta faticosamente uscendo.
Il celebre attore australiano, che a sessant’anni suonati conserva tuttavia, bisogna riconoscerglielo, un gran fisico da culturista “naturale”, per nulla anabolizzato, interpreta il ruolo di John, un tatuatore ex alcolizzato, ex delinquente di mezza tacca, che vive nel rimorso di aver perso le tracce di una figlia scappata di casa e da una situazione familiare che non ha certo aiutato a mantenerla tra il focolare domestico.
Un giorno proprio la figli, diciottenne di nome Lydia, lo contatta telefonicamente, tutta agitata, riferendogli che sta scappando dal suo ex fidanzato, dopo che questi è rimasto ferito gravemente a causa sua per un incidente dovuto ad una colluttazione in occasione di un colpo ai danni di un narcotrafficante.
Riunitisi, per i due non resta che la fuga, tenuto conto che molte persone sono sulle tracce della ragazza, e al padre non resta che fare di tutto pur di salvarle la vita.
Dopo l’ottima esperienza in terra natia, culminata col dittico bellissimo di Nemico Pubblico Nr. 1, avevamo anche apprezzato il regista Jean-Francois Richet in terra d’Oltreoceano, alle prese col remake rischiosissimo, ma molto dignitoso, di Distretto 13 di John Carpenter (il film, piuttosto valido, era Assault on Precint 13).
Qui non c’è storia: nel senso vero del termine: la vicenda, vista mille volte, non offre alcuno spunto per poterci avvincere o sorprendere, nemmeno una tenace tecnica di ripresa che esalta le scene d’azione e le sparatorie sanguinose che attraversano il thriller.
Niente, o quasi: certo a dire le cose come stanno Diego Luna è in realtà l’unico abbastanza bravo del cast, impegnato a dar vita ad una insolita figura macilenta, anzi sanguinolenta, di cattivo problematico, emaciato e stravolto, che si trasforma quasi più in una vittima designata, ovvero in quello che, alla fine, ci rimette quasi più di ogni altro.
Il resto è ordinaria violenza “stalloniana” anni ’90, con dialoghi grevi o sdolcinatamente scontati tra padre e figlia. Niente a che vedere con la media decisamente superiore a cui ci aveva abituato un regista esperto di action, ma anche propenso ad uno sviluppo più maturo di una sceneggiatura e dei dialoghi o situazioni che la compongono.
Blood Father a tutti gli effetti si dimostra un classico film “alimentare”, che punta a rinverdire i fasti di una star da tempo in declino, puntando su un cinesta avvezzo ai tempi veloci e all’action di classe (che qui peraltro poco si manifesta).
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