Regia di Segundo de Chomón vedi scheda film
Guerra: caotica immersione nella realtà o scoppiettante sogno infantile? L'infanzia del Cinema, nel 1917, sapeva offrire giovane meraviglia senza precludere una riflessione acida a disincantata su precise situazioni o contesti negativi come poteva essere la Grande Guerra del 15-18. Segundo de Chomon, cineasta fondamentale per gli inizi della Settima Arte e puntualmente dimenticato (spesso a vantaggio di un suo collega più fortunato, Giovanni Pastrone), offre agli occhi dello spettatore di inizio secolo un breve film per certi versi schematico, sul filo della programmaticità, ma allo stesso tempo straordinario nel suo presentarsi come esercizio di contemplazione. I campi lunghi sui luoghi funestati dalla violenza, la maniera in cui i piccoli drammi sono inghiottiti dalle tragedie collettive: La guerra ed il sogno di Momi evoca in modo impellente l'invasione dell'intimità da parte di un Male letale e definitivo, destinato a trasformare il mondo e l'immaginario.
Il piccolo Momi, bambino proveniente da una famiglia benestante e abbastanza abbiente (visti gli abbigliamenti e certe decorazioni dell'abitazione), ascolta un giorno il nonno leggere con la madre una lettera dal fronte, mandata dal padre stesso, in cui il genitore racconta di un giovane ragazzo eroico di nome Berto. La lettura diventa il tunnel immaginativo che fa scattare quel normalissimo e abituale corto circuito che solitamente chiamiamo flashback, o in generale, se vogliamo, una breve parentesi, che è anche un excursus sulle condizioni di vita nelle regioni europee più colpite dalla guerra; e qui de Chomon si lancia in alcune sequenze splendide e molto concitate in cui Berto rischia di perdere la madre perché l'esercito nemico vuole utilizzare la loro umile casa come osservatorio/vedetta. Sarebbe quasi scontato porre a confronto l'infanzia agiata di Momi con quella turbolenta di questo infante che sembra venuto fuori dai futuri capolavori neorealisti italiani, se non fosse che l'occhio del regista è più interessato a inquadrare piccoli momenti morti e a seguire i suoi personaggi nelle loro azioni (più o meno quotidiane, più o meno eroiche), tanto da soffermarsi sui lunghi tragitti percorsi a piedi dal bambino, all'inizio per raggiungere casa, in seguito per chiedere aiuto ai soldati. Sequenze come quella della casa bruciata, poi, rivelano un approccio molto precoce e moderno all'idea della suspense e della tensione, con scarti e tagli netti di montaggio che ingigantiscono il dramma e ce lo rendono vicino e palpabile in pochi minuti.
Quando Momi, una volta che lo spettatore torna alla "cornice", si addormenta giocando con dei pupazzi, ecco che inizia una seconda parte ben distinta dalla prima (di cui però ovviamente non può fare a meno), proprio il sogno di Momi, e i pupazzi cominciano a prendere vita e a intrecciare un conflitto armato l'uno contro l'altro, al punto da assoldare numerose altre reclute-pupazzi da porre a loro fianco e da munire fino ai denti di armi violente (cannoni, baionette, fucili), così da potersi ammazzare a vicenda sugli stessi luoghi in cui realmente la guerra si combatteva. Anche in questo caso sembrerebbe la rincorsa di una formuletta che oggi tanto fa urlare al capolavoro i critici più piacioni: viene trattato un tema serio come la guerra in maniera molto leggera. Ma la realtà vuole che questa leggerezza sia solo ostentata nel film; grande tristezza e rassegnata constatazione regnano nelle immagini di Chomon. Seppur realizzata con la lunga e difficile tecnica dello stop motion, la battaglia dei pupazzi non occupa pochi fotogrammi, ma quasi più della metà del film, e tale ostinazione nel riprendere le scene di battaglia come "giochetti da burattini" fa lentamente sorgere un dilemma nella mente dello spettatore: come può il film essere una semplice opera a tesi, se è tanto ossessionata dal farci contemplare, pur con il filtro del sogno (dopotutto, siamo al Cinema), le brutture belliche? Il risultato è che pare proprio la fine della fantasia: anche quella, soprattutto infantile, è stata infangata dai disastri dell'umanità, anche quella è stata contaminata da un Male che sembrava poter raggiungere e distruggere qualsiasi cosa tranne l'integrità innocente dell'infanzia. E invece il film finisce proprio per lanciare questo monito quasi crudele: anche i bambini non saranno più gli stessi, se anche sono vestiti per bene e abitano in una casa ricca sono campo di battaglia loro stessi, con la loro giovane carne e il loro candido viso. Emblematica, in questo senso, l'ultima immagine, in cui i due pupazzi cominciano a picchiarsi sul corpo dormiente di Momi.
Il Cinema, il Sogno, tutti accartocciati da una violenza che sotterra le certezze e non lascia più appigli. Siamo ben oltre la carineria, possiamo sorvolare sul titolino di "gioiello dimenticato", parlando di La guerra ed il sogno di Momi. Sarebbe meglio piuttosto parlare di "capolavoro dimenticato", e di incredibile lezione di Cinema, di Arte, di Immagine, un ultimo lampo di raggelante fantasia in mezzo alla bufera, nel lontano 1917.
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