Regia di Mark Rosenberg vedi scheda film
Tra il realismo minimalista di un'ambientazione claustrofobica ed il flusso di coscienza di una alienazione da mal di spazio, il film avanza il dubbio che il Cosmo sia un luogo estraneo al concetto di vita e che la tecnologia, per quanto complessa ed ingegnosa, non sia uno strumento affidabile a riprodurne e sostenerne l'esistenza.
In seguito alla scoperta di un procedimento attraverso cui è possibile ricavare acqua dal suolo, il capitano William D.Stanaforth viene selezionato per la prima missione di esplorazione umana del pianeta rosso. Una serie di sfortunate circostanze e l'errore di manutenzione della macchina da lui ideata, lo costringeranno a scegliere tra interrompere il suo viaggio e ritornare sulla Terra o proseguire da solo in una folle missione suicida.
Pensato, scritto e diretto come uno psicodramma fantascientifico da camera, l'esordio alla regia di Mark Elijah Rosenberg è un curioso esperimento cinematografico che rinuncia volutamente alla sua naturale dimensione figurativa di B-Movie a basso budget per ripiegare sulle suggestioni filosofiche di una umanità posta per la prima volta di fronte al terrore escatologico del distacco ombelicale dalla Madre Terra e la proiezione verso una dimensione di scoperta e di conoscenza ben al di là dei propri limiti di tolleranza emotiva e psicologica. Puntando sulla sobrietà di una messa in scena che sconta a più riprese la difficoltà di scontrarsi con il pauperismo scenografico ed alcune banalità ed incongruenze narrative, il film cerca di riscattarsi dal senso del ridicolo delle sue velleità speculative attraverso i facili espedienti di un voice over che ne riproduca il senso di una riflessione interiore e dell'uso ponderato di un flashback che ne suggerisca l'antefatto, ricucendo i fili di una missione disperata che si profila sempre più come un viaggio senza ritorno nell'inner space del suo stralunato protagonista. Tra il realismo minimalista di un'ambientazione claustrofobica ed il flusso di coscienza di una alienazione da mal di spazio, il film avanza il dubbio che il Cosmo sia un luogo estraneo al concetto di vita e che la tecnologia, per quanto complessa ed ingegnosa, non sia uno strumento affidabile a riprodurne e sostenerne l'esistenza. Pur nell'ingenuità delle sue premesse e nell'inverosimiglianza spartana di un controllo missione presidiato sempre dallo stesso addetto (un Luke Wilson in versione 'Huston abbiamo un problema' che non dorme mai), l'ostinazione suicida di un pioniere sconsiderato votato alla scoperta dell'ignoto e dotato di una ricetta elettrolitica quale pietra filosofale per esportare la vita, sembra un espediente più che sufficiente a garantirne il minimo sindacale di interesse e credibilità. Più che dalle parti della visionarietà di 2001 Odissea nello Spazio o dello spirito esotico di tante avventure marziane viste al cinema, vale il trasporto empatico di un'esperienza emotiva che cerca nella morte e nel ritorno al tutto l'ultima e definitiva conquista della vicenda umana. Poco importa se il Robinson Crusoe alla deriva nelle profondità del cosmo non si spiaggerà mai sulle rive aride di un mondo di lateriti ma sprofonderà' per sempre negli abissi senza tempo del desiderio e del sogno. Un numero risicato di personaggi marginali, qualche accenno ad un casting di aspiranti astronauti al pari di un noto survival reality di una NASA prossima ventura e la quasi esclusiva presenza scenica di un Mark Strong (al secolo Marco Giuseppe Salussolia: padre italiano e madre austriaca) che sembra abbia sperimentato realmente durante le riprese il misterioso Efetto Frey, non sembrano sufficienti a fare di questo piccolo scult una delle scoperte più rilevanti del Sundance Film Festival degli ultimi anni.
"I nostri corpi sono più spazio che materia. C'è una distanza abissale tra ogni atomo. Ogni particella. Cosa ci tiene uniti? perchè non ci dissolviamo? Questo è il motivo per cui sono venuto qui. Per dare tutto. Per un momento di meraviglia pura."
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