Regia di Kiyoshi Kurosawa vedi scheda film
Film di confine, senza alcuna spiegazione o significato, tutto è reale e tutto è enigma, i due partono da un punto, la casa di Mizuki e lì torneranno per l’ultima tappa.
Journey to the Shore (2015) di Kurosawa Kiyoshi dal romanzo di Kazumi Yumoto del 2010 vince a Cannes 2015 il premio UN CERTAIN REGARD - PREMIO PER LA MIGLIOR REGIA.
Mizuki (Eri Fukatsu), un'insegnante di pianoforte che vive a Tokyo, è raggiunta da Yusuke (Tadanobu Asano) il marito morto annegato tre anni prima. Lei l’ha cercato a lungo ma lui con semplicità spiega che il suo corpo non è stato mai trovato perché l’hanno mangiato i pesci.
Yusuke entra nel soggiorno open air di Mizuki senza far rumore. Fermo, in piedi, è lì, in tutta la sua fisicità di uomo alto, bello, con gran soprabito color zucca.
Lei, piccolina, giapponesina bruna e silenziosa dai grandi occhi malinconici, lo guarda e gli ricorda di togliersi le scarpe. Poi gli offre una pietanza tipica che lui apprezza molto.
Parole poche, adesso e per tutta la durata del film, ma bastano a scoprire retroscena, amori e dolori, frammenti di un passato che non può essere che fatto di frammenti, per i vivi e, ancor più, per i morti.
Partono entrambi, come farebbe una felice coppia in vacanza, in un road movie lungo il Giappone fra paesi e uomini che Yusuke ha conosciuto nei tre anni della morte. Il suo è un ritorno con la piccola moglie e tutti lo accolgono con affetto.
Restano per un po’nei luoghi, ospiti dell’uno o dell’altro, collaborano con le loro attività, Yusuke si scopre fantastico creatore di agnolotti ripieni, altrove è stato insegnante per l’intera collettività di fisica, antropologia e scienze umane in genere, e tutti corrono di nuovo felici alla sua scuola.
Ma dopo un po’ il viaggio riprende, scorre come un filo rosso sulla mappa di un territorio segnato da pezzi di vita, lungo tracce lasciate nei luoghi e nella memoria degli altri.
In ogni tappa raggiunta in treno o autobus c’è una storia da conoscere per Mizuki, riconoscere per Yusuke. tutto è importante ma nulla può durare.
Mizuki è viva, in lei è inestinguibile la pulsione al radicamento, Yusuke è oltre, l’amore li unisce, ma privo di tensioni, come la superficie calma di un mare che ha profondità inesplorate.
Film di confine, nella caverna dietro la cascata si passa per l’aldi là, e c’è un certo traffico: Yusuke, poi il padre di Mizuki, la piccola suonatrice di pianoforte, un vecchio compagno di Yusuke e chissà quanti ancora che Yusuke riconosce confusi con i vivi.
Ma infine arriva il momento dell’addio, quello definitivo.
Un ricordo di Virgilio? Un viaggio di Orfeo ed Euridice all’incontrario?
Difficile trovare agganci tra Occidente e Oriente in tema di vita e di morte.
Nel mondo orientale entrano in modo così naturale l’una nell’altra che ogni paragone è inadeguato.
Abbandono, malattia, morte, sono eventi costanti, l’impermanenza è la condizione umana per eccellenza, si convive soprattutto con loro ma, come dice un adagio …
La rana nel pozzo non può immaginare l’oceano… ma conosce l’altezza del cielo
Nell’immaginare la convivenza di vita e morte “ … c’è una misura dettata da un canone fatto di equilibrio ed eleganza, l’ellissi e la sobrietà sono i suoi connotati, il passo è quello leggero di vite che comunque scorrono e fioriscono, trovando la forza di cercare l’anello mancante e inventando le improbabili radici di un albero sulla montagna arida.”E’ Treeless Mountain, la montagna senza alberi.
Riconosciamo in quest’opera di Kurosawa Kiyoshi “ … lo sguardo minimale e ravvicinato sulle cose e le persone tipico di tanta filmografia orientale, quella lenta progressione sulla superficie degli eventi che fa avvertire le pulsioni premere con forza ma sa ricacciarle sul fondo.E’ la leggerezza, quella che Calvino chiamava “leggerezza della pensosità”, che “può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.Tornano alla memoria i bambini di Ozu, vagabondi nella miseria con il padre in Tokyo no yado (Una locanda di Tokyo) capaci di dimenticare tutto per un cappello da marinaio.
O il bambino di Kurosawa Akira di Yume (Sogni), convinto che le volpi siano dove nasce l’arcobaleno e che i peschi possano rifiorire dove l’uomo ha fatto il deserto.”.(Treeless Mountain cit.)
Kurosawa Kiyoshi ha preso le distanze dall’angoscia e dalla paura dei suoi film precedenti, l’ineluttabilità del distacco qui ha i toni dell’elegia, una misura che dobbiamo fare un gran salto per ritrovare, all’indietro di migliaia di anni, negli epigrammi funerari dell’Antologia Palatina.
“… ci rimane un dito di tempo, il vino e l'amore sono un breve incontro prima della lunghissima notte. E la donna che piange muta sulle spalle di Paolo Silenziario sembra accogliere nelle sue lacrime la rivelazione e la vertigine della nostra fragilità." (Milo De Angelis)
Come Kurosawa ci parla di tutto questo?
Con le luci, vibranti, nette, nel rappresentare la vita che scorre e pulsa, soffuse, virate all’ocra e al nero quando la vita comincia ad allontanarsi.
Con una forte dose di freddezza nel ritratto della vita e struggimento quando appare ciò che fa pensare alla morte
Con il ritmo dilatato che esclude il coinvolgimento, tra vivi e morti c’è un diaframma impercettibile che illude.
Con asettici interni cittadini e case di paese dove il tempo si è fermato.
Con gli occhi, gli sguardi, il leggero movimento muscolare di labbra e guance.
Con strade cittadine che si avvolgono in reti inestricabili e tranquilli sentieri sterrati che attraversano macchie rigogliose di verde frusciante.
Senza alcuna spiegazione o significato, tutto è reale e tutto è enigma, i due partono da un punto, la casa di Mizuki e lì torneranno per l’ultima tappa.
E’ un cerchio senza inizio né fine, lungo la circonferenza si provano emozioni, rabbia, dolore, amore, allegria e disperazione, nulla resta ma tutto è importante e ci segna.
“Provo una gran sensazione di benessere” dice Mizuki a Yusuke, lui sorride, e sa perché.
E può esserci anche il miracolo, i due corpi che si ritrovano e si uniscono, oltre la vita e la morte.
L’amore? Perché no?
A.P. VII, 649
Non preparerò né letto nuziale né santi imenei:
sulla marmorea tomba una figura,
Terside, pose tua madre: di vergine, a te simigliante.
Anche se morta sei, con te si parla.
www.paoladigiuseppe.it
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