Regia di Naomi Kawase vedi scheda film
Il cinema panico e lirico di Kawase umilia le pretese realistiche della fiction, le sue strutture e le sue definizioni, e le espone al rischio d’uno sfacciato corpo a corpo con la natura. Qui si adultera in uno stile da export, acquieta gli slanci in un andamento lineare, si rinserra in una storia piccola, esemplare. Un venditore di dorayaki annichilito dal senso di colpa e in cerca d’assistente, una signora di 75 anni che gli si propone, una fanciulla bisognosa di famiglia vicaria. «Ognuno ha la sua storia» dice sorridente l’anziana Toku: la sua è quella di donna sformata ma guarita dalla lebbra, rinchiusa in quarantena sino al 1996, ora libera, eppure pre-giudicata «dall’ignoranza del mondo». Lei, del mondo, ammira ogni dettaglio, ogni ciliegio in fiore. E la sua an, la sublime marmellata di fagioli che rinverdisce l’economia del bugigattolo, è oggetto sintesi del cinema di Kawase, incontro di cultura e natura, di radici e sensibile, sapore e stupore del tempo. La ricetta della signora Toku è un esempio esistenziale: perché lei s’offre alla nuova famiglia in tutto il suo dolore passato, in tutto il suo gusto per la vita, in tutto il suo amore, che è oltre ogni stigma sociale. È un cinema gentile, questo, d’una semplicità così elementare da confondere gli occhi: il classicismo di Kawase con una parodia di poetica, la tabula rasa d’ambizione formale con uno strategico e indistinto gusto popolare, la grazia naïf del gesto con lo stucchevole film di cucina strappalacrime.
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