Regia di Florian Gallenberger vedi scheda film
A voler giocare ai raffinati, il naso subito si storce quando fin dall’inizio una storia cilena (semi-vera) viene raccontata con l’occhio, l’orecchio, il fiuto ed ogni altro senso comunque non cileno: è un po’ come tutti i film sugli indiani girati dagli americani (con rispetto parlando e date le debite differenze). Ma che, nell’icipit, sulle scene delle manifestazioni popolari a sostegno di Salvador Allende (quelli che di lì a poco diventeranno le prede dei cani di Pinochet) si debbano sentire le note anni ’70 del rock di quell’America che si vendette il Cile per un piatto di patate, o che il film sia tutto recitato in inglese (tranne qualche “Hijo de Puta” sputato per far colore dalle guardie del popolino), ciò è davvero difficilmente digeribile. D’altra parte, il relativamente giovane regista è tedesco, perdoniamogli pure l’indebita intrusione internazionale (che è proprio dei tedeschi andare in giro per il mondo a farsi i cacchi degli altri...), però un film così era meglio l’avesse concepito e realizzato qualcuno tipo Pablo Larrain (il quale forse, meglio, non lo farà mai). E avremmo visto di ben altro certamente.
Una tragedia immensa confezionata come fiction amorosa, stereotipi di cinema e di storia come se piovesse, un Daniel Brühl e una Emma Watson che, si fossero fermati rispettivamente al pit stop delle loro carriere, lui dopo aver impersonato Niki Lauda (immensamente) e lei dopo tutto quell’Harry Potter che si porta addosso (magicamente), sarebbe stato meglio per tutti...
E poi i tempi, accidenti! e le sorprese!!! Ma c’è qualcuno che non possa aver indovinato sin dall’inizio con che tempi e con che modi tutta la vicenda si sarebbe svolta? C’è qualcuno che davvero ha trepidato per le sorti di Lena e Daniel vedendoli arrancare nell’orrore della Colonia Dignidad? C’è qualcuno che si è stupito del fanato-fascismo del solito invasato Uomo Pio che redime il mondo col culo degli altri, ancorché eventualmente minorenni, facendola lungamente franca col benestare del potere (tra parentesi, se c’è una cosa da salvare in questo film è la prova d’attore del solito bravissimo Michael Nyqvist)? Ne sarei sorpreso.
“Colonia” (titolo internazionale peraltro ambiguo, che crea indebite aspettative in ordine simultaneamente geografico ed olfattivo), è poco più di un film spazzatura, anche se non so bene quel “di più” a che cosa potrebbe essere accreditato... forse un sforzo produttivo (le comparse, cani e bambini compresi, abbondano), forse il coraggio di una denuncia (eggià, bravo! denunciare Pinochet, da tedesco, nel 2015, son capace anch’io) o magari la smania di portare alla luce circostanze marginali e poco note di una storia (quella cilena) che, troppo presto, si è voluta dimenticare (ma allora, non era meglio lasciar fare a Larrain ed eventualmente occuparsi della storia contemporanea, piena zeppa di potenziali Pinochet?). Certamente è un film inutile, per il cinema, per la storia, e per la musica che si ascoltava tra i ragazzi che in Cile nel 1973 sostenevano Allende e che nessuno, grazie anche all’ingegnoso Florian Gallenberger, saprà mai quale fosse stata.
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