Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
A un industrialotto parmense viene rapito il figlio: per pagare il riscatto dovrà vendere il caseificio, ipotecare la casa e insomma andare in rovina, mandando in fumo tutto ciò che ha costruito nella sua vita di lavoro; la fidanzata del ragazzo e un ambiguo prete operaio sostengono di essere in contatto con i rapitori, ma forse nascondono qualcosa. Bertolucci gioca in casa, dirige in scioltezza, introduce ampie ellissi, come se stesse trattando un materiale che conosce a memoria. La sua eccessiva sicurezza si traduce in un’oscurità vagamente irritante, e soprattutto in un finale dichiaratamente enigmatico: è un film che allude parecchio ma dice poco, e vale più per lo sfondo che per i primi piani, più per la prova attoriale di Tognazzi (un omuncolo stralunato e attaccato ai soldi) che per la vicenda narrata. A rivederlo, mi accorgo che forse deve qualcosa a Caro papà (1979) di Risi: un altro film sfuggente, dove però il discorso sul terrorismo, lasciato in sottotraccia, trovava uno scioglimento più convincente.
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