Regia di Leigh Whannell vedi scheda film
Se il capitolo 2 era insieme un seguito, un rifacimento del primo e una sua espansione, questo capitolo 3 sta tra lo spinoff e il prequel: dai Lambert si passa a un altro nucleo, padre e due figli, di cui la maggiore vorrebbe contattare la madre defunta. Per questo entra in gioco la medium interpretata da Lin?Shaye, morta alla fine del primo episodio e resuscitata nel secondo rewind su rewind. Nell’opera d’aiuto alla giovane protagonista, la sensitiva incontra i due acchiappafantasmi responsabili delle derive dementi della saga. La storia dell’origine è servita. L’originalità no: è un mito a cui non abbiamo mai creduto, soprattutto se si tratta di una saga che gioca sull’accumulo di déjà vu, sulla sedimentazione arty e parodica degli stereotipi del genere. Per James Wan era una sfida: creare terrore nonostante gli alleggerimenti ironici, lavorando su una retorica sfacciatamente satura. Per Whannell (sodale di scrittura di Wan sin dai tempi di Saw e interprete di uno dei ghostbuster) è un problema. Eredita penna e macchina da presa, sostituisce un immaginario maggiormente cupo e organico a quello stilizzato del predecessore, ma fatica a tenere l’equilibro del doppio registro e gira un film che s’accontenta d’essere solo uno dei 19 prodotti Blumhouse del 2015: scene da sussidiario dell’orrore elementare, exploitation da miseria cinefila (la Shaye, neo-eroina, affronta il demone con un «vieni avanti puttana!»: grandi risate!) e nessun motivo d’interesse.
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