Regia di Maïwenn Le Besco vedi scheda film
FESTVAL DI CANNES 2015 - CONCORSO - PREMIO PER LA MIGLIORE ATTRICE A EMMANUELLE BERCOT
MON ROI segna il ritorno in regia dell'affascinante e sofisticata attrice Maiwenn ed una sua nuova partecipazione in Concorso a Cannes, trascorsi diversi anni dal suo valido Polisse.
Un film più intimo e personale questo suo ultimo, anche furbo e strappa consensi se vogliamo, nel raccontare il percorso distruttivo (anche fisicamente) di una donna che, feritasi seriamente ad una gamba in seguito ad una caduta dagli sci, utilizza il periodo faticoso della riabilitazione presso una clinica specializzata, per rivivere i momenti salienti della nascita di un amore travagliato con un uomo brillante e seducente che le ha letteralmente sconvolto la vita, e che ha in seguito sposato e col quale ha generato pure un figlio.
L'uomo è il titolare di un ristorante, ma anche uno spregiudicato evasore e manipolatore di anime e caratteri, che utilizza il suo aspetto piacevole, i suoi modi seducenti, la sua simpatia gaglioffa e ruffiana, per attrarre donne bellissime e coinvolgerle in un percorso in questo caso tortuoso e facilmente autodistruttivo.
Non che l'uomo non ami la sua donna: ma lo fa con un atteggiamento e comportamenti che innestano nella donna freni e dubbi di ogni genere, sottoponendola ad uno stress nervoso che si protrae nell'arco di oltre un decennio.
Maiwenn filma anche piuttosto bene, con piglio sicuro e dinamismo, un Vincet Cassel istrionico e leonino piuttosto in parte, affidando il ruolo della protagonista alla regista Emmanuelle Bercot, vera protagonista di questo festival avendo avuto l'onore di aprire la manifestazione con il suo "La tete haute", ricevendo oltretutto il premio come miglior attrice per questa sofferta sentita interpretazione.
Il suo volto e corpo, belli ma possibili, identificano alla perfezione una idea di donna di successo che tuttavia diventa succube di una personalità in grado di condizionarla e farle perdere la determinazione e la caratterialità che ne facevano una donna indipendente e sicura di sé.
Il titolo "Mon roi" già segnala sottomissione e comunque una devozione o arrendevolezza che sono il frutto di un lavaggio del cervello che il brillante uomo riesce a provocare nella consorte.
Il film tuttavia gioca troppo furbamente sulle emozioni a pelle del pubblico - che ci casca sonoramente e si compiace - facendosi bello di battute e situazioni brillanti a cui si alternano, in un continuo flashback cadenzato a ritmi sostenuti, scene madri di crisi di coppia e litigi furenti alternati ad intimità o momenti di cura ospedalieri, un po' troppo edulcorati e costruiti, sguaiati e compiaciuti per non lasciarci qualche dubbio sulla genuinità delle intenzioni della pur valida regista.
Insomma, Polisse era decisamente qualcosa di più e di molto diverso.
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