Regia di Stefano Calvagna vedi scheda film
L'ultimo periodo di vita di Franco Califano, attraverso la rilettura operata da Stefano Calvagna, regista e amico personale del proverbiale Califfo.
Un Califano in parte inedito, oscillante tra cadute e risalite, ma sempre alla ricerca dello sfuggente senso della vita, amico generoso, amante un po' in disarmo, caustico fustigatore dei luoghi comuni.
Non si può dire che il ritratto eviti i rischi della agiografia acritica; eppure il film lascia un retrogusto piacevolmente amarognolo, nel suo rappresentare l'uomo, più che il cantante, e tutte le sue fragilità che una vita ai limiti non seppe dissolvere.
Calvagna, che si avvale delle fenomenale interpretazione pedissequa di Gianfranco Butinar (capace di aderire alla figura di Califano, con voce, modi e vezzi, in maniera davvero impressionante), intende volare alto e lo dimostra con frequenza sospetta. E' sempre stato il suo limite, di regista dai grossi slanci e dai mezzi tecnico-espressivi piuttosto modesti. Riemerge, come in tutta la filmografia non memorabile, un ancestrale problema di scrittura, a volte estremamente ed inutilmente satura e ridondante, altre del tutto inadeguata se non proprio slabbrata (bastino, quali esempi, gli squarci di cercata poesia che, però, risultano disomogenei e disancorati dal testo).
Concedendo a Calvagna l'onore delle armi può riconoscersi una sua urticante sincerità (che, naturalmente, non basta a creare un prodotto di vero e compiuto cinema) nonchè (posto che sia un valore) un completo disinteresse nei confronti degli stilemi cinematografici più abusati eppur necessari a dare finitezza ad un'opera.
In definitiva, non il film peggiore del cineasta romano, da riscoprire se non altro per la già citata valenza di omaggio ad un personaggio controverso ma di un certo rilievo nel panorama musicale italiano.
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