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Humandroid

Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film

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La recensione su Humandroid

di ROTOTOM
1 stelle

Di artificiale, tutto. Manca solo l'intelligenza.

Humandroid è la penosa ratifica della deriva  che il cinema di fantascienza ha imboccato da qualche anno a questa parte. Ufficialmente inserito ai primi posti tra i film peggiori dell’anno, questo inguardabile pastrocchio conserva il triste primato di essere opera dello stesso regista (Neill Blomkamp) di un’altra zoticoneria fantadiscutibile, Elysium,  e capeggia spavaldamente una sarabanda di boiate in CGI come After Hearth di Night Shyamalan, Oblivion di Joseph Kosinski , il recente omologo Automata di Gabe Ibáñez seppur con una prima parte appena sufficiente, Transcendence e Cloud Atlas, il dittico di Andrew Niccol che non ne becca più una con The Host e In time. Poi ci mettiamo gli young adult dei Maze e Divergent, film che sembrano usciti da uno spin off basito di Amici della De Filippi. Rimane poco di buono, pochissimo di innovativo, nulla di geniale. Nella parte a sinistra della tabella, tra i buoni ricordo Gravity, Source code, Age of tomorrow che se non altro mette in fantascienza il Giorno della Marmotta e risulta essere una sorpresa molto gradevole. Godzilla non è male. Chronicle di Max Landis . Her di Spike Jonze è forse il miglior film  sull’AI.  Poco altro. Interstellar di Nolan è per me inclassificabile.

Sharlto Copley

Humandroid (2015): Sharlto Copley

E pensare che proprio quel  Blomkamp  fu salutato come genio nel  2009 per il bellissimo fanta-slum District 9, passato poi al basso mainstream  fino ad affossarsi definitivamente nell'affrontare senza il benché minimo pudore la delicata questione dell'intelligenza artificiale dando fittizia viten, direbbe il sommo Bonvi al  “Chappie” di Humandroid. Il ridicolo fatto a droide. Patetico. Sconclusionato. Irritante.  Separato alla nascita da Jar Jar Binks per l’innata capacità di smuovere i più bassi istinti bestiali.

 

Humandroid è un film nato vecchio e stantio da un’iconografia anni ‘80 divisa tra i fantasmi del controllo paramilitare di stampo fascista del Robocop di Verhoeven, gli strampalati straccioni della distopia sociale post apocalittica carpenteriana e Pinocchio.
Resistono come cariatidi ai venti del tempo le periferie degradate con i murales, i cattivi che fanno le mosse e le faccette da cattivi, una società che vende robot da guerra che ha un ufficio che sembra un call center di  una sfigata compagnia telefonica e un garage. Comanda Sigourney Weaver che ha fatto la storia del cinema di fantascienza e che ora ha la faccia di chi vorrebbe morirne, ma si sa, è più facile sbarazzarsi di un alieno teratomorfo che di un contratto. L’attonita androgina è spalleggiata dal Gran Mogol delle Giovani Marmotte (Hugh Jackman) che gira per gli uffici in pantaloni corti ma che in realtà è un ingegnere dell’intelligenza artificiale. O CON l’intelligenza artificiale, di certo non si sa.  Mentre quello buono di geni, (Dev Patel) l’indiano saputello di Slumdog Millionare  che robotizza tutto quello che gli capita sotto mano, è un ragazzino che entra ed esce dalla più grande azienda produttrice di armi con : pezzi di ricambio per robot, furgoni, automobili, armi, prototipi e chiavette che contengono un cervello intero. Compreso ogni spettro emotivo. Ma lasciando fuori la sospensione dell’incredulità.

E questi sono gli umani. E se questi sono gli umani a cosa possono dare vita? Il piccolo geppetto indiano produce un pinocchietto sensibile e umano con i led degli occhi e della bocca che fanno gli occhietti e la boccuccia. L’Intelligenza Artificiale, che bella. Che facile.

 

Il fascino della fantascienza è riuscire a spostare nel tempo e nello spazio, espandendola, la tecnologia conosciuta per metterla a confronto con i dubbi etici e morali che scaturiscono negli esseri umani al suo utilizzo. Soprattutto  il film di fantascienza è l’unico genere che deve trovare all’interno della propria ontologia un dialogo coerente tra storia e elementi futuristici e deve farlo visivamente. 

  Tutto questo è prontamente disatteso da Blomkamp che se da una parte mette in scena la periferia dismessa di Johannesburg facendola passare per post futurista – con minor fortuna e meno convinzione di quando ambientò nello slum la storia di District 9 –  dominata da in nuovi barbari, dall’altra inscena una storia di formazione di un droide che con la faciloneria di un film di fantascienza di serie C quale è questo film, in due e due quattro – scaricando in una apposita chiavetta lo scibile della sensibilità umana con tanto di barra di caricamento a vista tanto cara agli sceneggiatori di mezza tacca – comincia a dare segni di autocoscienza e si evolve come un bambino. “Chappie” , questo il nome che è tutto un programma della creaturina sintetica,  vorrebbe essere tenero, invece è irritante. La storia vorrebbe essere dura – “Chappino” viene cresciuto dai delinquenti – ma vedere un droide con le catene d’oro da gansta rap che fa le mosse da è da denuncia penale.  E poi rivolte sociali, rivalità tra ingegneri, robottini contro robottoni, i cattivi redenti, la morale sulla vita e la morte spiegata con una pila, padre padre perché mi hai abbandonato e l’immancabile strasmigrazione della mente umana con tanto di anima e essenza vitale da un corpo ad un altro. Alè, con spinotti tipo Transcendence? No, con un casco munito di elettrodi. I cari vecchi elettrodi applicati ad un casco che succhiano l’UOMO e lo caricano su un sistema operativo dentro un robot.  E’ come se cercassi di caricare un file di un film in Blue-ray in un registratore di cassa meccanico anni ‘50.  Finisce a mitragliate, così per fare casino e si ritorna nello slum tanto caro al regista.
Ma come è possibile che si possano realizzare oggi delle cialtronate simili. Ma la lezione di Blade Runner non l’hanno imparata questi cazzoni?  Ho visto cose che voi umani non potete immaginare.  Come è possibile che con tutta la tecnologia a disposizione l’immaginario  fantastico si sia ridotto a qualcosa di così piccolo, banale e profondamente stupido  fantasticume  ?

Sharlto Copley

Humandroid (2015): Sharlto Copley

Humandroid riesce ad essere mal scritto, mal diretto, sovrarecitato. Resta in bilico tra il genere (senza essere radicale) e ambisce a territori fanta filosofici inarrivabili. Un film inaccettabile.  
Quello che era riuscito molto bene in District 9 – contesto reale che cambia senso in ottica fantascientifica con sottotesto politico volutamente non mimetizzato – qui diventa cliché di stanchezza creativa che rimesta nel già visto e ammorba con l’imbroglio del patetismo a tutti i costi. L’unica cosa che funziona è la fusione tra la CGI del robot con le immagini degli esseri umani. Cose che peraltro  non stupiscono più neppure un bambino. 

Le storie di Intelligenza Artificiale funzionano molto bene nel piccolo, nelle storie intime, quando toccano l'essenza umana e la sua percezione più che le sue manifestazioni pratiche. L'esempio migliore, recente, è Her di Spike Jonze. Nel suo film è la percezione dell'uomo della vita verso una natura sintetica che fa si che il sintetico prenda vita. E' un gioco sottile, ambiguo. Attribuire vita a materia inanimata fino ad oggi l'ha fatto all'alba del mondo solo un'entità. Con un po' di fango e  uno sputo. Ma se la natura divina della creazione è insita nell'animo umano ecco che l'umano, senza bisogno di sputare, può riconoscere la delicatezza, l'importanza della vita a prescindere che essa esista davvero.  Sarà la sfida etica del prossimo futuro attribuire alla macchina una capacità di discernimento, riconoscerne l’ unicità estratta dalla produzione in serie.  Sarà compito del cinema riscriverne le derive filosofiche e morali. Ma senza bisogno di un corpo, di una faccetta, di mossette e scimmiottamenti.

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