Regia di Neill Blomkamp vedi scheda film
Concluso Humandroid, mentre si viene assordati da un pezzo di post-gangstarap-robotico, l’unica riflessione che dovrebbe condividere chiunque vada alla ricerca di uno sguardo autoriale nel cinema di Neill Blomkamp è quella di smettere di pensare al suo esordio District 9. Meglio “godersi” lo spettacolo del déjà vu hollywoodiano, in versione società violenta con le forze di polizia sostituite da droni. Il loro creatore, però, decide di fornirli di coscienza, forgiando neonati di titanio come Chappie, con grandi capacità di apprendimento e attitudini artistiche. Ma lì fuori dominano disperazione e lerciume, non musica e dipinti. Dopo la lotta di classe distopica e for dummies, con eroe e villain, di Elysium, il sudafricano passa alla fantascienza heavy metal e nichilista, dove gli uomini sono tutti brutti e cattivi, i nuovi gangster riscoprono l’etica e gli sceneggiatori lo sciopero inconsapevole. Cinema robusto e energetico che sa coattamente intrattenere, ma anche irritare. Humandroid è un’opera centrifuga dove si getta tutto e tutti nel calderone: il tema della coscienza come materia tangibile, la socializzazione alla violenza, l’umanesimo della macchina, l’immortalità. I riferimenti, tematici ed estetici, sono ovviamente molteplici, alti e bassi: dai più ovvi RoboCop, Corto circuito, Il tagliaerbe agli scenari exploitation di Classe 1999 e Hobo with a Shotgun. Mancano pensiero, direzione, un’idea di cinema.
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