Regia di Camillo Mastrocinque vedi scheda film
Dal loro paesello nel sud Italia i fratelli Caponi, con le preziose indicazioni del vicino Mezzacapa, salgono a Milano a riportare sulla retta via il nipote, studente universitario che si è innamorato di una donna di spettacolo (e quindi di malaffare, si presuppone). La trama, come spesso succedeva, è solo una scatola vuota: Totò e Peppino (nella consueta divisione di ruoli: l’uno gaudente e spensierato, l’altro serio e parsimonioso) forniscono una delle loro interpretazioni più esilaranti, facendo a gara per porgersi le battute. Entrano di diritto in un’ideale antologia le tre scene citate nella scheda redazionale (l’arrivo alla stazione, la dettatura della lettera e la richiesta di informazioni al vigile urbano), ma non sono le uniche memorabili: è un film pieno di trovate, per es. Peppino che si accorge che i soldi da lui nascosti sotto la mattonella sono diminuiti (perché c’è l’inflazione...) o il cameriere del ristorante di lusso che dà consigli sul menu (“Ma in fondo potremmo anche fare a meno del coperto, a Milano non c’è tutto questo freddo”). Tutto sommato potabili anche gli intermezzi musicali affidati a Teddy Reno (fra cui la celebre canzone del titolo), e niente male la vamp dal volto umano Dorian Gray: certo, la sua finale metamorfosi campagnola è davvero dura da digerire, ma per un film degli anni ’50 si può soprassedere.
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