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The Light Shines Only There

Regia di Mipo Oh vedi scheda film

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La recensione su The Light Shines Only There

di OGM
5 stelle

Andare in montagna. L’idea c’è. È onnipresente, è un eterno, frustrante tentativo di spiccare il volo. Per Tatsuo e Takuji, due ragazzi giapponesi diversamente sbandati, quella potrebbe essere l’unica salvezza. È inevitabile continuare a pensarci, mentre la vita, dal canto suo, non fa che tirarti giù. A tenerti ancorato al pavimento di un appartamento solitario, tra avanzi di cibo e bottiglie di birra vuote. A lasciarti chiuso dentro una baracca, col padre invalido che reclama sesso, una madre sfinita, una sorella che è l’amante del capo e alla sera si prostituisce in un bar. Il racconto schiaccia, non fosse altro che per il suo incedere affannoso, per quell’asfissia narrativa in cui la stridente esuberanza di Takuji riesce solo ad aprire inutili e sporadici strappi. Il romanzo di Yasushi Sato, portato sullo schermo da Mipo Oh, vuole restare fermo. Vuole contorcersi nella melma di un’immobilità che, non si sa come, blocca anche il pensiero, le parole, forse persino le emozioni. Nemmeno le grida di rabbia e dolore arrivano in alto. Tutto è troppo stanco, e lo è in partenza. Però sembra strano che là in fondo, dentro i recessi dell’anima, non ci sia proprio niente. Che lo squallore abbia lavato via ogni cosa, compresi i sogni, che appaiono spenti, convenzionali, privi di ogni utopico vigore. È singolare questa gioventù messa ai ceppi, inchiodata ad una ripetitiva disperazione,  che pure vorrebbe magari assomigliare a qualcuno, incarnare il ritratto di una parte significativa della realtà. Tanta insistenza non può che puntare ad aprirci gli occhi, su un mondo invisibile che è talmente anonimo da trovarsi ovunque, da essere trasversale alle condizioni sociali, ai caratteri psicologici, ai retroterra morali. Purtroppo questa universalità si presenta disfatta, senza forme che la rendano riconoscibile, collegabile ad una situazione già vista, ad una sensazione già provata, a qualche spunto che, prima ancora che spalancarci la mente, sia in grado di toccarci il cuore. Il nostro sguardo, invece – chissà perché – deve rassegnarsi a restare fisso su una noia che non ci convince, non ci travolge,  non ci commuove. Forse la scontata piattezza fa parte di un crudele gioco che mira ad imprigionare anche noi, spettatori, nella gabbia di nichilismo spicciolo in cui giacciono inerti i personaggi, insipidi vagabondi all’interno del loro minuscolo nulla. Ma non è credibile che non esista proprio altro da dire. Che l’orrore dell’incesto sia solo un gemito nella stanza accanto, che lo strazio del tradimento si risolva in una scazzottata, mentre la vendetta coincide con un’ubriacatura da sagra popolare. Lassù, sulla montagna, le pareti di roccia esplodono, vengono fatte a pezzi dalle cariche di dinamite. Per contro, quaggiù, niente detona, neanche di riflesso. Il vuoto è spinto e l’eco si dissolve. Almeno si potessero raccogliere le briciole, di quella remota devastazione;  invece, chi ha scritto la storia, ha voluto prima ripulire per bene la pagina. Nessun detrito la sporca, né la polvere  la rende ruvida, facendo inciampare il pennino. Troppo scorrevole è il tratto, troppo sottile la scia dell’inchiostro.

 

The Light Shines Only There ha concorso, per il Giappone, al premio Oscar 2015 per il miglior film straniero. 

 

 

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