Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Ne Il ponte delle spie il regista Steven Spielberg riprende nuovamente un altro frangente della Storia americana per raccontare (o celebrare) la storia di un altro eroe americano, James Donovan, avvocato idealista delle assicurazioni che nel 1962, nel pieno della Guerra Fredda, negoziò per conto della CIA lo scambio di prigionieri fra Stati Uniti e URSS nel famigerato ponte di Glienicke a Berlino, in Germania.
Nonostante siano ben noti le vicende di quegli anni, Spielberg riesce comunque a rendere avvincente un film di spionaggio vecchio stile per classe e accuratezza, coi tempi giusti e con una sceneggiatura solida, anche attraverso la ricostruzione e rappresentazione esemplare di un periodo storico come quello della Guerra fredda e, soprattutto, della sua città simbolo, Berlino, e non negandosi nemmeno l'inevitabile concessione, anche a legare il tutto, ad una certa retorica.
Dopo una introduzione molto hitchcockiana, il film si concentra sulla figura di James Donovan, un "uomo qualunque" quasi di matrice capriana ma che invece si rivelerà essere qualcosa di più: l'esemplificazione immaginifica di una professione e l'incarnazione di un mestiere, in questo caso dell'avvocatura, nella sua espressione più alta ma anche paradigma esemplare, sempre secondo l'etica “all american” del regista, dei massimi valori della società americana.
Quindi anche un confronto tra un modello e sistema di vita, quello americano, e un altro, quello dittatoriale della DDR e quindi dell'URSS, che necessariamente si risolve a favore dei primi ma dove l'immagine che vi si rivela sembra sì chiarissima ma allo stesso tempo aperta a più suggestioni.
Come l'inquadratura iniziale di Abel intento a dipingere un proprio autoritratto grazie ad uno specchio, nel quale il riflesso dell'uomo e l'immagine sulla tela sono riproduzioni della stessa persona ma comunque diverse, ognuna a rappresentarne solo di certi elementi ma non esattamente quello che è veramente.
Così come anche lo stesso Donovan si dimostrerà molto di più di ciò che sembra all'inizio.
Un Donovan che è abilmente impersonato da uno splendido Tom Hanks (e dato il personaggio soltanto lui poteva aderirvi in una tale maniera da renderlo comunque credibile. O almeno possibile) e il film può inoltre vantare anche l'ottima interpretazione dell'attore britannico Mark Rylance nella parte della spia russa, in un ruolo comparativo e al tempo stesso affine al personaggio di Hanks. e grazie al quale riesce a ottenre l'Oscar 2016 come Miglior attore non protagonista.
Il ponte delle spie probabilmente annoierà il pubblico con sindrome da deficit di attenzione o allergica ai film di ambientazione storica ma è invece capace di solleticare l'attenzione e l'interesse di molti altri, in fondo stiamo pur sempre parlando di una pellicola di Steven Spielberg & Tom Hanks nuovamente insieme e al lavoro su una sceneggiature rifinita niente di meno che dai fratelli Coen.
Quindi il film si è rivelato un buon Spielberg, forse fin troppo cronista degli eventi (una minor aderenza probabilmente avrebbe giovato al ritmo della pellicola) ma comunque efficace e un ulteriore tassello del sempre più numeroso filone storico della sua filmografia seppur non all'altezza di alcuni dei suoi precedenti capitoli.
VOTO: 7
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