Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Storia, geografia, cinema, Spielberg, capitolo ventinove. «Ogni uomo è importante», sostiene l’avvocato Tom Hanks, ormai pacificamente giunto nella sua fase “James Stewart” – e il caso ha voluto che il suo personaggio si chiami proprio come l’indimenticato attore – e quasi ci si preoccupa quando s’improvvisa negoziatore per gestire uno scambio di prigionieri. Preoccuparsi, d’altronde, «servirebbe?», pare suggerirci il suo assistito per caso, una spia dell’Urss (ed ecco l’avvocato pronto ad esportare il pragmatismo e il buonsenso americani: quanti problemi si risolverebbero semplificando i nomi degli stati?), il magnifico Mark Rylance: guardate come Spielberg gli fa recitare le mani che rompono una moneta, sistemano la dentiera, raschiano i colori sulla tavolozza per non farla rovinare, dipingono un autoritratto che non maschera l’imperturbabilità di un uomo forse inaccessibile.
Il ponte delle spie (2015): Tom Hanks
Il caso: nulla è casuale qui perché tutto è volto alla realizzazione di un grande spettacolo rassicurante. Se è vero che sullo sfondo si staglia la paranoia atomica, alimentata dal cinema americano degli anni cinquanta contemporanea all’azione del film, con quel bambino che è facilmente una suggestione autobiografica dell’autore, come non notare la celebrazione intelligentemente patriottica del “manuale delle regole”, il collante di una nazione fatta anche di esuli (l’avvocato è un irlandese come, per dire, John Ford) e di donne. Che compaiono poco, certo, ma se Amy Ryan è un angelo del focolare che sa il fatto suo, le due pose con la moglie del giudice raccontano molto di quanto accade prima della sentenza: e a me piace pensare che ci sia qualcosa del courtroom Il caso Paradine in cui la moglie del giudice prendeva posizione contro la pena di morte.
Il ponte delle spie (2015): Mark Rylance
A fare il resto: le spruzzate di ironia appaltate ai fratelli Coen, forse responsabili di alcune trovate leggere ma non troppo (l’olimpico fatalismo della spia, i ricorrenti bicchieri coi liquori ma forse pure l’implicanza del raffreddore); la fedele ed evocativa ricostruzione storica che è allo stesso tempo una dimostrazione di un armonioso lavoro di squadra (da citare almeno gli affezionati contributi dati dalla livida fotografia di Janusz Kaminski con improvvisi bagliori attraverso i vetri e dall’accurato montaggio di Michael Kahn, ma occhio alla colonna sonora dell’esperto neofita Thomas Newman in sostituzione del malato John Williams); la consapevolezza politica di un cinema capriano nel senso formale della trasparenza ed interessato anzitutto all’uomo. Nulla eccede, tutto torna e la parabola solida e dignitosa avanza col passo felpato dell’uomo comune che si fa testimone della Storia in fieri: un classico immediato.
Il ponte delle spie (2015): Tom Hanks
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Finalmente una recensione che restituisce a Cesare quello che è di Cesare alla barba dei tanti che scambiano la classicità di un'opera come questa con la lentezza: il "troppo lento" è la litania che impropriamente si ripete in molte recensioni (dimenticando che è il ritmo ed essere importante e che a volte come in questo caso è fondamentale che le scene siano più "distese" e meno "concitate") e lamentano la mancanza dei colpi di scena (che ci sono invece, eccome se ci sono, solo che - giustamente - non vengono nè gridati nè esasperati) e pretenderebbero più "concitazione" incapaci di comprendere la compattezza di un film che ha invece il passo giusto, così ben costruito nel suo divenire da non lasciare allo spettatore un attimo di tregua grazie a una efficace mano registica sobria e corposa, a una messa in scena impeccabile e a una recitazione da manuale sorretta da una sceneggiatura altrettanto poderosa di Matt Charman magistralmente riletta dai fratelli Coen che la riempiono di succose annotazioni. La regia di Spielberg è insomma di quelle che una volta si soleva definire da manuale, che ci racconta da par suo una guerra di spie volutamente trattata (con il supporto imprescindibile di interpreti davvero in stato di grazia) sul filo dei dialoghi più che dell'azione, perchè qui le parole che si integrano perfettamente con le immagini, pesano (nel senso che sono importanti e fondamentali) capaci come sono di svelare significati che vanno ben al di là del primo sguardo. Basterebbe la lunga sequenza iniziale a connotarne la grandezza con l'attenzione del regista concentrata sulla figura della spia russa (un uomo sottile in una giacca troppo grande) non a caso priva di dialoghi e anche di musica (praticamente assente per la prima mezz'ora di proiezione). Spielberg e i Coen sanno insomma come trattare la loro materia e riescono a nobilitare anche quelle piccolissime scivolate nella retorica (quella "classica" spielberghiana che è quasi un rassicurante marchio di fabbrica) rendendola comunque splendidamente "cinematografica".
Come sempre c'è poco altro da dire a ciò che puntualmente scrivi. Ho apprezzato il passaggio sulla retorica spielberghiana come marchio di fabbrica, una cifra dell'autore al di là dei gusti che va rilevata senza pregiudizi. Chi non si accorge dei colpi di scena non è più abituato a vedere un film. Un saluto, Lorenzo
Concordo con entrambi. Il Ponte delle Spie non é un film d'azione né é concepito per esserlo, assolutamente!
Visto due volte di cui la prima in lingua originale, condivido assolutamente la tua esaustiva recensione con relativo commento di Valerio. Ciao a entrambi,
Paolo.
Molto graditi i tuoi complimenti, un saluto. Lorenzo
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