Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
25 Courmayeur Noir Festival.
Quarta collaborazione cinematografica tra Steven Spielberg e Tom Hanks (bellissima la foto che FilmTv propone e che pubblico qui sotto, emblematica direi), due mostri sacri della Hollywood degli ultimi trent’anni che sembrano capirsi al volo, o almeno questo è ciò che traspare vedendo Tom Hanks in scena rendere come raramente gli è capitato negli ultimi quindici anni (anche se poi, nei suoi precedenti due film aveva fornito incoraggianti segnali di ripresa).
Il brillante avvocato James B. Donovan (Tom Hanks) viene incaricato dal suo studio legale di difendere la spia russa Rudolf Abel (Mark Rylance) semplicemente per far vedere come la giustizia americana dia a tutti le medesime possibilità.
James, dopo le iniziali titubanze, prende talmente sul serio l’impegno da finire nel mirino dell’opinione pubblica e della CIA, ma lo stesso verrà ripagato dei suoi sforzi quando Rudolf potrebbe divenire pedina di scambio per liberare un pilota americano finito prigioniero dei russi.
Sarà incaricato di seguire non ufficialmente, ed in gran segreto, la trattativa a Berlino Est e non si accontenterà di riuscire nel già non facile obiettivo, ma cercherà di salvare anche un giovane studente americano finito senza colpa nelle carceri della Germania dell’Est.
Opera che si muove seguendo il classico equilibrio spielberghiano tra l’impegno, riportare un fatto da piena Guerra Fredda, e una necessità di arrivare al pubblico più ampio possibile abbinando quella tensione che inevitabilmente una storia del genere deve possedere a un profilo istantaneamente assimilabile, scandito da dialoghi, si vede la mano dei fratelli Coen nella sceneggiatura, intelligenti in grado di strappare sorrisi soddisfatti così come far leva sull’emozione.
Da ciò deriva che se il nucleo è veritiero, come lo sono le note a corredo che rendono onore alla figura di James B. Donovan, il resto è anche romanzato, forse un po’ eccessivamente, giusto per fare in modo che tutti capiscano.
Emerge così la figura del buon uomo americano, ma è prominente anche il rovescio della medaglia, ovvero la voglia di giustizia (il russo è cattivo, punto stop, non ci si scappa), l’incapacità di capire cosa sia giusto e sbagliato e ancora di più cosa possa essere conveniente per la nazione stessa (al di là del bene e del male).
Così Steven Spielberg non dà (pienamente) torto a nessuno, ma prima di tutto fornisce una preziosa lezione di diplomazia che non si perde nel tempo, oltretutto basterebbe già la prima sequenza della cattura della spia russa per ricordare a tutti come si gira una scena dinamica senza scemare nello spettacolo fine a se stesso, una qualità che pochissimi registi di oggi possiedono.
Semmai, si potrebbe obiettare che il film sia un po’ troppo lungo (ed a tratti un pò legnoso?) e che in fondo le posizioni prese in funzione dell’ottica complessiva possano anche risultare fastidiose per chi porta con se una bandiera, qualunque essa sia, ma per il resto si tratta di un lavoro corposo, che pochi registi potrebbero portare avanti allo stato attuale e con uno scenario del genere da trattare.
In scena è fondamentale il contributo di Tom Hanks, che si esalta con un personaggio descritto minuziosamente sotto più angolature (impossibile non stare dalla sua parte), ma, se vogliamo, balza ancor di più allo sguardo l’operato di Mark Rylance nei panni della fatalista spia russa (rassegnata con pace angelica a qualunque cosa gli riservi il futuro), candidatura agli Oscar praticamente scontata, con anche concrete possibilità di portarsi a casa un’ambita statuetta.
Per tutto questo, Bridge of spies è un film da vedere che, pur non rientrando tra le migliori opere di Steven Spielberg, non è nemmeno uno tra le più gratuite, capace di far scattare più volte la scintilla della compartecipazione con una facilità disarmante, ma soprattutto forte di una direzione registica che fa la differenza, senza esplosioni o enormi effetti speciali (praticamente relegati in una singola scena).
Ben fatto (senza esaltarsi troppo).
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