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Cowboys

Regia di Tomislav Mrsic vedi scheda film

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La recensione su Cowboys

di OGM
7 stelle

Il teatro viene dalla strada. Quella in cui qualcuno ha affisso dei manifesti che altri hanno staccato. La casa di chi è in cerca di qualcosa, e tenta di raccattare ciò che può: un’idea per potersi esprimere, un’ispirazione da trasformare in un’emozione, un motivo valido per creare. Lo spettacolo cessa di essere itinerante nel momento in cui ritiene di dover fare il punto della situazione, tenendo i piedi a terra, e con la dovuta concentrazione. Saša è un regista senza attori. Non ha nemmeno una commedia da mettere in scena, né un futuro verso cui indirizzare i suoi programmi. È disoccupato, incompreso e gravemente malato. Si arrangia quindi con quel poco che riesce a strappare alla malasorte: un gruppuscolo di sfaccendati che si sono presentati al casting per caso, un copione da improvvisare, forse qualche settimana di vita. L’impresa non è facile, ma è importante far sì che, in quella cittadina della Croazia, torni finalmente uno show. La gente si è disabituata a guardare, e quella piccola compagnia di disperati ne è l’esempio: ciò che non è passato attraverso gli occhi ha mancato di alimentare il pensiero e la parola. La memoria è sbiadita e confusa, ed, insieme ad essa, anche la percezione della realtà.

 

 

scena

Cowboys (2013): scena

 

Afasia, ipocondria, egocentrismo sono i loro mali, che Saša cerca di convertire in maschere da palcoscenico. Tutto sta nel declinare la finzione in gioco, fare in modo che la loro pretesa di essere diversi da ciò che sono si tramuti nella magica energia dell’illusione, di quella bugia che il pubblico accetta. Si tratta di disciplinare quella ruspante forma di falsità tramite l’impegno a superare l’unico vero ostacolo: la paura di non farcela, la pigrizia mentale, la tentazione di lasciarsi distrarre dalle solite patologiche preoccupazioni. La riabilitazione alla normalità richiede la testardaggine della routine, una continuità che non lasci via di scampo: Non posso? Che significa? Non capisco. Mettiamoci al lavoro! Questo motto interviene ripetutamente come un mantra, a scongiurare il rischio che quell’ambizioso affanno si interrompa, ed ognuno torni alla banalità delle proprie  magagne. Lo sviluppo della vicenda presenta il carattere della cocciutaggine:  un’insistenza ottusa e inconcludente, che però, a lungo andare, riesce ad infrangere la durissima scorza delle cattive abitudini, dell’incapacità di concedersi uno strappo alla regola e lasciarsi pungolare dalla curiosità di provarci.  La ruvida leggerezza di questo racconto è segnata dalla fatica della ricostruzione: il mondo balcanico si sforza di rimettere insiemi i cocci dell’antica ironia, sapendo che i loro contorni sono aguzzi e la loro superficie polverosa. La visione scanzonata ha perso la brillantezza, eppure non molla mai: fino in fondo combatte per rivendicare la propria dignità di intelligente autocritica, a cui manca ancora solo la serenità della risata. Si tira avanti con grinta, pur senza allegria. Non ci si prende sul serio, ma non per questo, purtroppo, si è davvero in vena di scherzarci su.

 

Cowboys ha concorso, come rappresentante della Croazia, al premio Oscar 2015 per il miglior film straniero. 

 

scena

Cowboys (2013): scena

 

 

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