Nel nostro paese è considerato la versione a stelle e strisce di Liala ma la definizione non rende giustizia alla componente imprenditoriale di Nicholas Sparks, scrittore di best seller e da un pò di tempo, produttore cinematografico dei film tratti da suoi romanzi. I quali, è bene dirlo, rappresentano per numero di rappresentazioni, l'ultimo baluardo di un genere - quello romantico sentimentale - ritenuto desueto, e ancor più fuori moda da un mercato intossicato di fenomenologie improntate al più assoluto pragmatismo. Niente a che vedere quindi con le pene d'amor perduto che alimentano la penna dello scrittore, e che hanno fatto la fortuna di titoli come, "Le pagine della nostra vita" e "Le parole che non ti ho detto", autentici cult di un pubblico femminile, disposto a tutto pur di lasciarsi coinvolgere dai tormenti esistenziali di quelle vicende. Certo, è giusto far notare come, rispetto agli inizi, le ultime trasposizioni abbiano perso la disponibilità degli attori più in vista, gradualmente sostituiti dall'esuberanza di virgulti in cerca di successo e quindi propensi a calarsi senza troppe domande in ruoli scontati ma popolari. Come lo sono quelli di Luke Collins e Sophia Danko, i protagonisti di "La risposta è nelle stelle", favola sentimentale incentrata sulle peripezie amorose di due coppie destinate a incontrarsi nelle lettere di Ira Levinson, arrivato al termine dei suoi giorni e intenzionato a togliere il disturbo, non prima di aver letto ai due ragazzi le lettere indirizzate all'adorata e defunta moglie.
Stabilendo una corrispondenza tra i ricordi del desolato coniuge e l'attualità degli irrequieti ascoltatori, posti sullostesso piano dall'analogia degli atteggiamenti che metterano in discussione i rispettivi legami, "La risposta è nelle stelle" trova il modo di far proliferare gioie e dolori senza bisogno di forzare la mano (come aveva fatto nel precedente e troppo enfatico "Il meglio di me") ma semplicemente sfruttando le possibilità offerte dal doppio binario della struttura narrativa.
Il tutto, condito dagli stilemi tipici dello scrittore statunitense, che ritroviamo per filo e per segno nella diversità sociale e culturale dei personaggi - qui come altrove destinati a fare i conti con le conseguenze che ne derivano - nella scelta di ambientare la vicenda in un paesaggio bucolico chiamato a rappresentare sul piani visivo il risveglio delle passioni e l'armonia della loro unione; e infine nel valore assunto dalla scrittura (presente a cominciare da "The Nootebook"), testimone ma soprattutto ordinatrice di una realtà di per sè caotica e mistificante. Scott Eastwood, figlio del grande Clint e Britt Roberton, appena vista in "Tomorrowland" ce la mettono tutta per farsi notare e di certo non sfigurano.
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