Regia di George Tillman jr. vedi scheda film
Sparks Cine(ro)ma(n)tic Universe.
La risposta sarà nelle pure stelle ma è la domanda ad essere sbagliata: che cosa mai potrà nascere dalle ammorbanti traboccanti stalle sparksiane?
Beh, palate di sentimentalismo dopato e ricattatorio, per cominciare. La strada, lastricata di nude crude rudi intenzioni, oramai, la conosciamo: e porta dritto alle manipolatorie industrie del cuore e dell'ammore che effondono nell'aria zuccheri filtrati ed emozioni trattate (alla "maniera" del diabolico scrittore americano che tante perle ci ha regalato: grazie, eh), fino alle lacrime. E più sono, e maggiori sono gli effluvi della partecipazione collettiva, e meglio è.
Oibò, dall'enfasi e dalla tronfia pesantezza della fonte narrativa non se ne esce vivi; ma nemmeno dalla trasposizione filmica: anzi, pare un imperativo, un dogma assoluto da seguire fedelmente se si vuole far parte dell'ineffabile Sparks Cine(ro)ma(n)tic Universe.
Al cui centro, questa volta, gravitano le travagliate vicende di sospirosi sensi del cowboy da rodeo Luke Collins (Eastwood, Scott: imperturbabile come un toro da monta strafatto di valium e bromuro) e della ragazza studiosa d'arte Sophia Danko - figlia di Ivan? - (la biondina carina Britt Robertson, vista di recente in Tomorrowland). Ma anche di quelle - raccontate in flashback per mezzo di letterine-diario - di Ira (Alan Alda oggi, Jack Huston da giovane) e Ruth (Oona Chaplin). La storia d'amore del presente che si intreccia con quella del passato: fantasia al potere, nevvero? Come spesso accade, quella "in bianco e nero" è (vagamente) più riuscita ed interessante, ma poco importa.
Importa piuttosto la loro funzione: riempitiva (l'una per l'altra) ed "educativa" (non commettere gli stessi errori ecc.); così come è essenziale che entrambe si portino un fardello (assai poco credibile, per quello che vale: e cioè nulla) di contrasti, di eventi avversi, di felicità a momenti e futuro incerto, di svolte e giravolte del destino. Nell'oggi, lei e lui sono troppo diversi (per estrazione sociale, interessi, prospettive), e l'acutissimo cowboy, inoltre, ad ogni match rischia la vita (avendo avuto un incidente quasi mortale un anno addietro); nel passato, lei e lui vivono sereni finché il tizio non va in guerra e, causa una ferita infettata, ritorna sterile (e dannazione, avevano progettato figliate a non finire!).
E se i temi - e le cose tutte, gli accadimenti, gli innamoramenti a prima vista, le parole, gli sguardi, i momenti, i dialoghi, le azioni e le decisioni, gli ostacoli del cuore e i tentacoli dei neuroni in vacanza - paiono d'un vecchiume infinito, è perché - flaccidamente - lo sono. È stantio l'uso di effetti ed espedientucoli vecchi come il mondo, è sfiancante la retorica dei sentimenti e l'esal(t)azione di fumi struggenti-ammiccanti, è fermo a ere antiche lo "sfruttamento" dei corpi, è insipiente l'inserimento di toni musicali (country-mielosi oriented) e mesta l'artificiosa dimensione estetica (i luoghi della guerra e quelli delle quotidianità, i paesaggi bucolici, i volti, le estasi e i tormenti, i primi piani), è meramente additiva e random la giostra di riferimenti (dalla vita agreste agli interessi "artistici").
Un mondo chiuso ed esclusivo (il target è l'unica mission che conta), quello di Sparks (e fantocci/seguaci), raccolto tra la entità/metodologia delle trovate che è il "destino" e la rivelazione rappresentata dalla immancabile "morale", qui affidata alle illuminanti parole di Ira/Alan Alda: «L'amore richiede dei sacrifici. Sempre.».
Abbattetelo.
[P.S.: si stenda - per cortesia - un velo pietoso - il tremilatrecentotrentatreesimo - su gai parolai nostrani che traducono - malvagità loro - i titoli per il mercato italiano. Così, The Longest Ride, si tramuta, traumaticamente, in La risposta è nelle stelle. Perchè - attenzione - come già appare sulle locandine, è "Dai produttori di Colpa delle stelle".
Abbatteteli.]
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