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Eat

Regia di Jimmy Weber vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Eat

di undying
8 stelle

Film partito come horror splatter di poche pretese ma che, dopo solo mezz'ora, affronta con certa profondità di analisi il dramma delle ragazze tagliate fuori dal mondo dello spettacolo in giovane età. Un grido di sofferenza a supporto di tutte le donne ingiustamente sfruttate.

 

locandina

Eat (2013): locandina

 

Novella McClure (Meggie Maddock) ha tentato la via del cinema, cercando di trovare un percorso da attrice ma ormai da lungo tempo viene persino esclusa dai provini. I suoi trent'anni ne fanno candidata meno interessante delle più giovani (e disponibili) ragazzine. Ormai sul lastrico, con sulla testa una sfratto per mancato pagamento, Novella ha un incidente automobilistico. Depressa, avvilita, inizia a procurarsi pericolose lesioni, prendendosi a morsi prima una mano, poi il piede. L'amica Candice (Ali Francis) -deputata a prendersene cura- è più folle di Novella e non esita a sparare su due ragazzi che, all'uscita di una discoteca, tentano di farle violenza. Solo il dottor Simon  (Jeremy Make), conosciuto nella stessa sala da ballo, sembra portare un raggio di luce nella disperata vita di Novella.

 

Meggie Maddock

Eat (2013): Meggie Maddock

 

"Il dottor Simon mi ha usata come tutti. Mi ha scopata come fanno tutti, come ogni regista, o produttore, o ogni ragazzo con un cazzo tra le gambe." (Novella McClure/Meggie Maddock

 

Dakota Pike

Eat (2013): Dakota Pike

 

Esordio davvero interessante in regia, opera del giovane Jimmy Weber che pure si occupa di sceneggiatura, produzione e della riuscita colonna sonora. Eat: un titolo che annuncia, senza alcuna perifrasi, il contenuto. Che non si può di certo definire nuovo o tabù, essendo piuttosto sostanziosa la filmografia precedente a tema antropofago. Eat inizia quasi come una commedia, sulle note ritmate di una felice musica di contorno, e immagini psichedeliche, coloratissime, sulle quali si manifestano titoli pop da Anni '70. Meggie Maddock (bravissima, da urlo) è la classica bionda americana, modellata sulla bellezza in stile Marilyn Monroe, aspirante attrice/star fissata con i trucchi: un incipit che sembra alludere alla banalità e alla piattezza psicologica che tocca milioni di ragazze facilmente attratte dal magico mondo dello spettacolo.

 

Meggie Maddock

Eat (2013): Meggie Maddock

 

Mano a mano però che la storia procede, il registro cambia, i toni si fanno cupi, la profondità di analisi e la sensibilità della protagonista rivela che dietro all'apparenza si nasconde una donna intelligente e onesta. Costretta, purtroppo, a vivere in un mondo ipocrita e maschilista (esemplare il provino per un regista di film... porno). Il dramma prosegue, senza soluzione di continuità, e mentre Novella attira sempre più le simpatie del pubblico, lo spettro del tradimento aleggia -come vaso di Pandora- sul capo della indifesa protagonista. Si empatizza con lei, si soffre, si riflette sul futile (e fragile) universo di una libertà "degenerata", tipica di una democrazia "mancata" come quella americana, in grado di produrre una società che  punta solo al profitto e accantona, velocemente, i suoi miti. Perché a soli trent'anni (e purtroppo anche prima) se non si è disposte a scendere a compromessi, le dive vengono brutalmente sostituite. Questa folle corsa al ribasso d'età, al consumo della bellezza, alla veloce (quindi temporanea) notorietà passa davanti ad ogni diritto umano, superando, in fatto di ingiustizia, persino l'istituzione della medicina, dove le cure costose, impraticabili per i comuni mortali, seppure fallaci -Novella ha perso il padre in una operazione chirurgica fallita- sono precluse a chi non ha denaro. Certo, appare difficile credere che nelle intenzioni di un filmaker così giovane possano starci tanti, interessanti spunti di riflessione, anche in considerazione delle efficaci scene sanguinolente (tutte realizzate artigianalmente, senza l'ausilio di spfx digitali) perfettamente calate nel corpus narrativo, ovvero funzionali ed essenziali allo scorrere degli eventi. Jimmy Weber come paladino femminista -mai un film horror si era schierato così nettamente in tal senso- ci conduce in questo fantastico (e doloroso) viaggio, facendoci prima sorridere, poi riflettere, quindi angosciare e infine piangere per il destino riservato ad un angelo inquieto, un angelo troppo sensibile, troppo giusto, troppo superiore alla umana prepotenza. E quindi non degno di questo Mondo: ecco spiegato lo sguardo fissamente perso nel vuoto, estatico, assunto dalla sorridente (epperò -ossimoricamente- malinconica) Meggie Maddock, rapito da un primo piano destinato a chiudere il film. Ecco motivato il tragico (ma liberatorio) gesto estremo, che dà prezioso senso compiuto ad un film maturo e inusuale nel panorama del cinema horror americano.

 

Meggie Maddock

Eat (2013): Meggie Maddock

 

"Mi guardano, come se non ci fossi. Mi ascoltano, come se non parlassi. Mentre cammino nell'oscurità della mia vita, la mia unica speranza è di trovare una luce. Nessuno sa chi sono, o chi posso essere, o chi posso diventare. Solo io posso, e lotto con tutte le forze che ho per eliminare queste barriere. Ma non è mai abbastanza. Il cuore mi martella in petto, pregando di fuggire. Batte a tal punto da far male; fa male come nessun dolore abbia mai provato. E ne ho provato molto. Un giorno mostrerò al mondo chi sono: non la persona che vedono, ma quella che sono. Troverò la luce, mi vedranno, mi sentiranno. Mi vedranno." (Novella McClure/Meggie Maddock al provino) 

 

Due stupende soundtracks di Jimmy Weber: 

I love you, Novi 

Old dreams

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