Regia di Ferdinando Vicentini Orgnani vedi scheda film
È un film sulla caducità del potere e su come questo cambi repentinamente chi lo detiene. In fondo, la Bolivia raccontata da Ferdinando Vicentini Orgnani sembra un pretesto. Tutto nasce con Rade Šerbedžija (l’attore croato che con il regista ha girato Ilaria Alpi - Il più crudele dei giorni), la cui moglie ha come zio Gonzalo Sánchez de Lozada, due volte presidente della Bolivia negli anni 90 prima dell’esilio negli Stati Uniti dopo gli oltre 60 morti dell’ottobre nero del 2003 in seguito alle contestazioni popolari represse dalle forze armate.
Partendo quindi da posizioni ideologicamente distanti da quelle empatiche di Oliver Stone, ad esempio, con i protagonisti dei suoi tre documentari sudamericani, Vicentini Orgnani cerca di mostrare le contraddizioni sia di Evo Morales, il primo presidente indio che ora si scaglia contro una minoranza etnica indigena contraria alla costruzione di un’autostrada “per i narcotrafficanti” nel parco nazionale del Tipnis, sia di Gonzalo Sánchez de Lozada che, partito nel 1993 con le migliori intenzioni, ora è riparato negli Stati Uniti che ne negano l’estradizione. Le responsabilità dei due, che il regista non omette, non sono certo paragonabili, rimane però l’evidenza delle parole, riferite a Morales ma quasi universali, di un indigeno: «Uno o due passi importanti li ha fatti, ma un cambiamento no, sarebbe come sognare a occhi aperti». Nonostante i numi tutelari (Che Guevara, Túpac Amaru...) ricordati nel minuto di silenzio di inizio mandato di Morales.
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