Regia di Margy Kinmonth vedi scheda film
Una San Pietroburgo innevata si presenta allo spettatore come una dama imbellettata che non porta i segni del tempo e del dolore vissuto. Sono le scene iniziali di Hermitage, il documentario firmato Margy Kinmonth, che ci accompagna in un viaggio tra le stanze più belle di uno dei più spettacolari musei del mondo. Sin da subito si è immersi totalmente in una realtà fatta di splendore e opulenza, una bellezza che riempie gli occhi. Angoli chiusi ai visitatori e collezioni nascoste al grande pubblico (come quella dei meravigliosi cammei imperiali) vengono svelati allo spettatore. Ma la parte più interessante del documentario non è questa, anche se sarebbe un motivo sufficiente per andare a vederlo al cinema. La parte più avvincente è la narrazione delle acquisizioni e delle storie di quei personaggi (direttori, curatori o semplici dipendenti) che, sin da quando nel 1764 la zarina Caterina II cominciò ad accumulare opere d’arte con un preciso progetto collezionistico (e politico), protessero i cimeli da vendite, vandalismi e ruberie spesso a discapito della propria vita. L’arresto e la deportazione nei gulag sono solo alcune punizioni che subirono coloro che si opposero alle cessioni forsennate delle collezioni sotto il regime comunista. Purtroppo, l’argomento è solo accennato e sempre coperto da un polveroso velo di nazionalismo: sarebbe stato molto più intrigante approfondire la questione, ma forse i tempi non sono ancora maturi. Peccato.
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