Regia di Mario Amendola vedi scheda film
Il 1° marzo 1969 sulle pagine del “Corriere della sera” comparve un tagliente articoletto avente come abbrivio il film “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?” (1968), nel cui cast figuravano Alberto Sordi e Nino Manfredi. Il testo recava la firma di Ennio Flaiano. Il grande autore, smascherando per l’ennesima volta la mediocrità dei propri connazionali con piglio ironico e impietoso, in conclusione scriveva: “Quando due italiani si incontrano per caso all’estero, la loro prima reazione è un gran ridere. « Che fai qui?... », « E tu? ». Infatti si suppone che se sono fuori casa è per motivi essenzialmente comici: il lavoro, la noia, una curiosità piena di riserve, le donne, i piaceri eccetera.” Le parole di Flaiano, che sembrano riprenderne la spiritosa scena della penna e coglierne lo spunto di fondo, ben s’adattano a “Totò di notte n. 1”, film diretto da Mario Amendola nel 1962. Al centro dell’opera, nei panni dei protagonisti, due pilastri della comicità italiana quali Macario e lo stesso Totò.
All’epoca delle riprese il “principe della risata”, ormai più che sessantenne, aveva da poco superato un decennio – quello degli anni Cinquanta – costellato di numerosi successi: “Guardie e ladri” (tra i cui sceneggiatori è possibile annoverare il summenzionato Flaiano) e “Miseria e nobiltà”, due dei vertici della carriera cinematografica dell’attore, risalgono rispettivamente al ’51 e al ’54. Il ’56 era stato l’annus mirabilis del sodalizio con il regista Camillo Mastrocinque: in quell’anno Totò era giunto a recitare per quattro volte consecutive in pellicole dirette dal cineasta romano – tra le migliori si ricordino il leggendario “Totò, Peppino e la malafemmina” oppure “Totò lascia o raddoppia?”, legato al già popolarissimo quiz televisivo condotto da Mike Bongiorno. In quel magico decennio, poi, Totò aveva recitato una parte ne “I soliti ignoti” (1958) di Mario Monicelli, film destinato a conquistare una candidatura agli Oscar del ’59. Proprio sotto la direzione dello stesso Monicelli erano cominciati gli anni Sessanta, l’ultimo decennio d’attività dell’istrione napoletano. In “Risate di gioia”, pubblicato nel ’60 e diretto dal già citato Monicelli, Totò recita accanto ad Anna Magnani, all’epoca in fase di popolarità calante a causa di alcuni film girati negli Stati Uniti e non molto apprezzati dal pubblico. Gli anni Sessanta sono anche il decennio in cui Totò recita nel riuscito “Totòtruffa ‘62” (1961) e nel popolare “Gli onorevoli” (1963). Sempre in questo periodo, compiendo una deviazione alquanto singolare, Totò si cimenta in “Uccellacci e uccellini”, la fondamentale pellicola di PPP pubblicata nel 1966, un anno prima che l’attore scomparisse. Gli anni Sessanta, ciò nonostante, non furono generosi quanto il glorioso decennio precedente: “Totò di notte n. 1”, infatti, costituisce un nitido emblema dei cali che segnarono le ultime fasi della carriera di Totò.
La pellicola in questione rappresenta uno dei primi tentativi di “commedia erotica all’italiana”, genere che si svilupperà e consoliderà negli anni Settanta. La vicenda narrata in “Totò di notte n. 1”, più simile a un pretesto tramite il quale collegare tra loro degli sketch dai motivi ricorrenti, è presto detta: il prepotente Ninì Cantachiaro (Totò) e l’arrendevole Mimì (Macario) sono un duo di squattrinati suonatori di contrabbasso, i quali decidono di dare una svolta alle proprie esistenze quando Mimì riceve una sostanziosa eredità da parte della defunta nonna. I due cominciano allora a viaggiare (e a scialacquare denaro) per il mondo: dicono di volersi costruire una carriera, ma finiscono soltanto con il fare baldoria tra un night-club e l’altro. “Totò di notte n. 1” può considerarsi un’ottima esemplificazione delle ragioni che secoli or sono, attorno alla metà del Settecento, spinsero l’immenso Carlo Goldoni a concepire la riforma con la quale avrebbe rivoluzionato il teatro del tempo e per la quale avrebbe polemizzato con autori quali Pietro Chiari e Carlo Gozzi: nel film di Amendola, infatti, tutti i limiti tipici della commedia dell’arte affiorano, palesandone così i risvolti meno apprezzabili. La fissità delle maschere, la ridondanza delle situazioni, la ricerca di effetti sorprendenti, l’impianto di facile schematismo, l’improvvisazione e le sue ricorrenze: la commedia dell’arte pervade l’intera ossatura di “Totò di notte n. 1” senza ricevere valorizzazioni o intelligenti orchestrazioni, abbandonata ai propri difetti. L’unico e parziale pregio della pellicola alberga nell’interpretazione di Totò e Macario: nonostante la scialba sceneggiatura, il duo funziona validamente e dimostra totale padronanza dei segreti del mestiere, rivelandosi capace di trarre spunti comici persino da due oggetti ingombranti quali i contrabbassi che portano sempre con sé e che a tratti divengono vere e proprie spalle. Totò, in particolare, spesso si rende il perno della scena e con la propria infaticabile vis istrionica, benché l’esito complessivo non rappresenti un’eccellenza, riesce a conferire anima ed efficacia agli sketch che compongono il film. Non abbastanza, però, da sfuggire alle insidie della commedia dell’arte: il modulare ripetersi delle situazioni, infatti, con lo scorrere della vicenda logora la già consunta maschera di Totò, che scade nel ricorso ad alcuni dei più triti stilemi del proprio codice comico – inclusi tormentoni come “Lei non sa chi sono io!”. Bisogna poi rilevare che lo sguardo del regista mai palesa una soluzione o un guizzo stimolanti; anzi: a tratti l’opera manifesta qualche sbavatura, dando l’impressione di un film girato e montato senza troppa meticolosità. Persino la colorata e spettacolare esibizione del corpo di ballo del Moulin Rouge viene inibita dalle scelte di Amendola, che si limita a qualche lineare e meccanica inquadratura. In sostanza, ci si ritrova a osservare sempre la stessa unità, sempre più prevedibile: introduzione dello scenario esotico (per le masse del tempo), sketch retto perlopiù da meccanismi ricorrenti, eventuale esibizione musicale o di danza. Qui e là, poi, qualche scena corale. E null’altro. Forse pellicole come questa, all’epoca, bastavano per soddisfare il pubblico di Totò; oggi, tuttavia, un film come “Totò di notte n. 1” altro non sembra, riprendendo quanto specificato in precedenza, che uno dei punti meno felici della carriera del nobile De Curtis.
Nel film di Amendola non mancano i momenti in grado di suscitare sorrisi e risate: grazie a Totò e Macario, infatti, alcune scene – seppur poco originali – finiscono a segno. Simpatica e di classica impostazione è la scena che si svolge nella trattoria, divertente e altrettanto classica quella che avviene dinanzi all’impresario parigino (G. Agus), brillante risulta il ritmo comico delle scene che coinvolgono l’italiano munito di penna (A. Rizzo) e il turista munito di macchina fotografica (C. Rizzo). Curiosa, invece, è la scena nella quale compaiono i due transessuali: forse una fonte d’ispirazione per il ben più interessante episodio di “Sessomatto” (1973) in cui Dino Risi dirige un Giancarlo Giannini innamorato del fratello (A. Lionello) che si prostituisce in abiti femminili? Al di là di tutto, l’alta padronanza della tecnica comica esibita dal duo Totò-Macario non è sufficiente: come evidenziato in precedenza, infatti, “Totò di notte n. 1” è una commedia dell’arte appesantita da strutturali difetti, nonché un esperimento nell’ambito erotico dal pessimo esito. Fortunatamente Totò e Macario fecero anche altro, e la commedia erotica all’italiana conobbe espressioni di ben diversa fattura.
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