Regia di Hamish Hamilton vedi scheda film
Diciamolo in punta di retorica pubblicitaria: David Bowie è uno, tutti e nessuno. Un volto, una voce e un’icona culturale capace di muoversi agevolmente tra i decenni e le mode. Ed è anche il soggetto dell’acclamata mostra che ha spopolato al Victoria and Albert Museum di Londra nel 2013. Testimonanianza imponente, ricca di particolari, opinioni e performance per raccontare chi è e chi è stato Bowie. Diventata un film, David Bowie Is si presenta come una celebrazione priva di spigoli, il cinema come surrogato di una passeggiata all’Albert Museum, una guida visiva o la versione raffinata della pagina di Wikipedia, con le splendide hit del Duca che non concedono distrazione. Niente di diverso dall’obiettivo: produrre un documentario dove vengono narrati la vita, il pensiero, le influenze, le opere di Bowie, dalla primordiale influenza di Little Richard alla progettazione di Space Oddity, dalla rivoluzione pop televisiva di Starman (con il dito puntato in camera) alla creazione di Ziggy Stardust, fino ai nostri giorni. Un prodotto divulgativo dove si finisce per illustrare la mostra più che dare forma al film, che avrebbe potuto osare soluzioni visive più coraggiose, o magari uscire dall’esplorazione dei fatti per provare ad azzardare le ragioni del continuo mutamento di una personalità così compessa. D’altronde la trasformazione è l’unica strategia per l’immortalità, insieme alla sincera immutabilità. Come dire, o si è David Bowie o si è gli AC/DC. O forse no.
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