Regia di Simone Scafidi vedi scheda film
Un potente e quantomai improbabile uomo politico (?) italiano raccoglie intorno a se e alla sua psicopatologia fin troppo freudiana una piccola coorte di esseri umani (o umanoidi?) in cerca di fortuna, costringendoli a giocare con i propri corpi e i propri demoni in una sorta di ricatto politico-culturale che ruota tutto intorno ad una qualunquistica masturbazione (o manustuprazione) fisica e mentale. Le storie agite e raccontate si inanellano fra desideri e ricordi appena tracciati che oscillano fra incestuosi deliri e finzioni bestiali senza mai sfociare nell'eversione concettuale. Restano così una serie di modesti tentativi di non descrizione di una malata perversione politico-sociologica imbrigliata nelle logiche di un inconscio tubercolotico ed esamine che non riesce a dare peso al nulla. Tutto è "non", ogni immagine risulta un'occasione persa di sfiorare un'idea e il citazionismo soverchia ogni spazio ed ogni tentativo di riflessione. In tutto questo, Milano è rarefatta da una fotografia morbida e sfocata che elimina ogni connotato di umanità e la disumanità dei personaggi prende la forma di una gestualità asimmetrica e sghemba che poco concede ad un erotismo falso e destrutturato. Pur nel chiaro riferimento alla storia recente ma del tutto privo della potente carica disturbante di "Salò" cui evidentemente ed eccessivamente si ispira per certe ellissi e circolarità visive e contenutistiche, "Eva Braun" ha l'unico merito di poggiare su una sceneggiatura discreta ed un'ottima tecnica di regia che tuttavia non riescono insieme a dar vita a qualcosa di sufficientemente illogico e ancestrale da rappresentare il concetto di fondo di questo film e si perdono in un finale privo di senso, prepotentemente tagliato da una "sigla" che non ha nulla a che vedere con il resto dell'opera . Potere, sessualità, fascismo mentale e retaggi psicoanalitici frullati insieme in uno spazio estetico ottimamente costruito perdono ogni contrasto e sfumano nei nebbiosi isterirmi di un personaggio troppo poco delineato e aprofondito, mal ossessionato e altrettanto mal gestito (anzi malissimo) da un attore incapace di definirne l'essenza. Così, la noia malata del protagonista si coagula nella noia sonnolenta dello spettatore che, nell'attesa di un finale definitivo, si assopirà nella ricerca di un misticismo fassbinderiano (altra evidente ispirazione del film) della degenerazione che mai arriverà.
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