Regia di Camillo Mastrocinque vedi scheda film
Brutto. Sconclusionato. Titilla l’alta cultura, ma dalla parodia ci si aspetta molto di più, che non quattro idee, e spesso comicamente limitate, se non infelici. L’unico squarcio divertente è, ma solo a tratti, quello del bar degli esistenzialisti: lì si che la satira ha senso, in quanto attacca un certo intellettualismo tristo, che vuol mascherare, attraverso modi pomposi, la propria pochezza di contenuti.
Di cattivo gusto l’allegrotta insistenza iniziale sul suicidio. Ugualmente volgare la parte sulle gemelle siamesi, che non fa mai ridere esattamente come quella finale del pazzo. Insomma: nel ’55 non era ancora nota l’inopportunità di ridere sfottendo chi ha problemi gravi; ma almeno, dalla comicità di grana grossa, ci si aspetta di ridere.
Una delle rarissime cadute di Totò, che qui fra l’altro scrive soggetto e, assieme ad altri la sceneggiatura. Di solito salvava anche i testi scarsotti; qui no, con l’aggravante che il testo è una sua libera scelta. Per eccellere, aveva sempre bisogno di contesti di vita reale, per evidenziare certi vizi (o all’autoironia grottesca, quando si cimentava nelle parodie di contenuti epici); qui invece, senza riferimenti saldi, deraglia, riducendosi quasi solo alla battutina da popolino.
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