Regia di Xavier Giannoli vedi scheda film
C’è qualcosa di profondamente tragico, e insieme divertente e ridicolo, nella storia di Marguerite. Lo spunto viene dalla vita della vera Florence Foster Jenkins - ricca signora americana, morta negli anni 40, con la passione per il canto e una voce tremenda - ma la protagonista del film non è una semplice figura storica. Nobildonna parigina degli anni 20, moglie di un uomo che non la ama, melomane ossessionata dal culto della bellezza, Marguerite è un’artista senza il privilegio del talento, anche lei una cantante d’opera miseramente stonata. Come il protagonista di un altro film di Xavier Giannoli, À l’origine (2009), un truffatore che costruiva un’autentica autostrada, Marguerite vive al centro di una finzione: ma in questo caso ne è vittima, ignora di non possedere le doti che crede di sfoggiare e resta intrappolata in un sogno impossibile. Il regista sceglie la scena parigina del primo dopoguerra, tra dadaismo e avanguardia, per sottolineare, però, la paradossale carica sovversiva di Marguerite: le stonature tolgono infatti il trucco al mondo e lo preparano a nuove rivoluzioni. Il film, purtroppo, non è altrettanto rivoluzionario, è troppo classico e composto. Ma Giannoli è in fondo onesto con se stesso, gira un film commerciale eppure ambizioso (tra Viale del tramonto e Max Ophüls), lasciando però l’amaro in bocca per le potenzialità di una storia di grande e inconsapevole modernità.
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