Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film
Spotlight parla proprio di Spotlight. Non tanto cioè, dell’oggetto della sua inchiesta più celebre quanto proprio del team di giornalisti investigativi che, sotto tale pseudonimo, scavano e scrivono.
E ottengono, negli anni, la fiducia dei lettori.
E hanno, così, l’autorevolezza necessaria per iniziare a scoperchiare un sistema che tutti, ma proprio tutti, fino ad un istante prima avevano, più o meno deliberatamente, accettato.
La storia c’è, anzi è buona. Ma è per una storia ancora migliore (quella, per l’appunto, oggetto dell’inchiesta) che era (già) stato riconosciuto, nel 2002, il più importante riconoscimento giornalistico.
Ma anche l’Academy, esagerando (o forse no, visto il tema), ha voluto dare il suo contributo, spingendosi fino a tributare al film (ma leggasi, per i motivi di cui infra, al soggetto del film) anche il più importante riconoscimento cinematografico.
Scelta umanamente comprensibile, ma, a mio avviso, azzardata per varie ragioni; dai limiti del montaggio, asettico ed applicato ad una narrazione che non scandisce bene i tempi (bensì accumula disordinatamente gli eventi d’indagine, senza una logica precisa) alle fragilità della sceneggiatura (che pure anch’essa - ancora più incomprensibilmente - è stata premiata).
Non tanto per aver voluto espungere, dall’atto di denuncia, toni scandalistici (dollyfc), onde scongiurare facili collusioni emotive con lo spettatore (champagne1); anzi, può darsi che sia stata questa scelta a rivelarsi vincente. Quanto, piuttosto, oltre che per le ragioni accennate più sopra, per le evidenti approssimazioni nella definizione di taluni ruoli (su tutti quello del personaggio interpretato da M.Keaton; abile interprete, quest’ultimo, di un personaggio dai modi assai poco accurati), quando, invece, altri ruoli (penso all’avvocato impersonato da S.Tucci) hanno beneficiato di maggiore attenzione.
A proposito di quest’ultimo, una curiosità; ho trovato piacevole la “ricompensa” che gli è stata riservata, atteso che, se qui veste i panni dell’eroe borghese che affianca infaticabilmente i più deboli, pochi anni or sono (in Amabili resti di P.Jackson per la precisione) gli era toccato il ruolo (alquanto scomodo) diametralmente opposto. Pro e contro del mestiere.
Un film onesto, ma che non brilla.
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