Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film
Il regista Thomas McCarthy è abile nel giostrarsi tra le tappe di un’inchiesta che richiede un rapido avvicendarsi degli avvenimenti e la stasi, pesante come un macinio, delle testimonianze dei “sopravvissuti”.
La squadra di giornalisti d’inchiesta “Spotlight”, del “Boston Globe”, nel 2001 pone la propria attenzione sui casi di molestie a bambini che abitano in quartieri dove i sacerdoti interrompono la propria “opera pastorale” all’interno della diocesi di Boston a causa di una mancata designazione o periodi di malattia sospetti. A partire dal “caso Geoghan” (dal nome di un sacerdote che ha molestato bambini in sei diverse parrocchie per oltre trent’anni, senza aver mai ricevuto provvedimenti importanti), il gruppo di giornalisti allarga l’inchiesta fino ad un numero considerevole di preti responsabili di abusi su minori, abilmente protetti dalla Chiesa Cattolica, da avvocati compiacenti e, involontariamente, dagli stessi giornalisti che, inconsapevoli della portata e della gravità della notizia, lasciano i fatti alla cronaca locale senza preoccuparsi di organizzare un’indagine approfondita degli scandali e dei meccanismi assecondanti. Commentando il film, Monsignor Charles Scicluna (pm del Vaticano che si occupò degli scandali derivati dall’abuso su minori) dice: «Questo film lo devono vedere tutti i vescovi e i cardinali, soprattutto i responsabili delle anime, perché devono capire che è la denuncia che salverà la Chiesa, non l’omertà». La denuncia, la “spotlight”, la luce che squarcia il buio di una situazione che in tanti (troppi) conoscevano ma che nessuno ha reso evidente al pubblico è il motore di tutta la vicenda. L’inchiesta si scontra contro il silenzio delle alte cariche ecclesiali, contro il muro di compiacenza degli avvocati, contro il silenzio dovuto alla vergogna delle vittime, contro i documenti riservati dei processi e quindi inaccessibili all’esterno. Il regista Thomas McCarthy è abile nel destreggiarsi tra le tappe di un’inchiesta che richiede un rapido avvicendarsi degli avvenimenti e la stasi, pesante come un macinio, delle testimonianze dei “sopravvissuti”. Il regista lascia da parte l’immagine, non cade nel facile tranello di riproporre scene di abusi, neanche con minimi flashback, perché la sceneggiatura basta da sola a descrivere le situazioni. La pellicola segue di pari passo anche lo svolgersi dell’inchiesta ed i meccanismi che si celano dietro la creazione di un servizio articolato per un quotidiano. La morale dell’immagine viene bilanciata dalla deontologia dei giornalisti i quali, pur con un’umanità dovuta alle vittime, si servono delle testimonianze per donare una rivincita morale a tutte le persone che hanno avuto il coraggio di affrontare il dolore e la vergogna per testimoniarlo al pubblico («Credo che il linguaggio sarà molto importante per la storia. Non possiamo sintetizzare. “Molestare” non è sufficiente. La gente ha bisogno di sapere cosa è successo»). “Il caso Spotlight” disvela anche altre questioni importanti, come la professionalità e l’etica degli avvocati e il celibato dei sacerdoti. Durante l’inchiesta, si viene a scoprire che molti avvocati gestiscono in maniera del tutto privata i casi di abuso perché, essendo i minori appartenenti a famiglie con reddito basso, profondamente cattoliche, con talvolta padri assenti, è meno probabile che parlino al di fuori della sfera familiare: concedendo un rimborso (pecunia non olet), alla vittima viene fatto firmare un accordo di riservatezza, in modo da evitare che la notizia si diffonda. Il celibato dei preti è un altro argomento correlato perché riguardante la sfera sessuale dei sacerdoti colpevoli, nei quali viene individuato anche un fenomeno psichiatrico riconoscibile e riconosciuto. L’essere “responsabili delle anime” porta ad una colpevolezza se possibile ancora maggiore, poiché va a minare una fiducia in alcuni casi totale verso la figura del sacerdote e del religioso in particolare, che svolge molto spesso anche un ruolo sociale oltre che religioso. La figura del sacerdote confessore viene totalmente annullata («Joe, hai mai provato a dirlo a qualcuno?» «A chi? A un prete?»), minando alla base il senso di sicurezza e di fiducia che questa persona incarna all’interno di una comunità, senza contare le amicizie che alti prelati intrattengono con importanti esponenti della giustizia e dell’alta società, contro le quali le famiglie povere nulla possono fare. La Chiesa Cattolica ha portato le sue influenze anche all’interno dei tribunali, facendo sparire anche documenti secretati. L’inchiesta giornalistica svela un castello di menzogne e di occultamenti, mettendosi completamente a servizio delle vittime, così come il cinema sembra mettere, a tratti, da parte l’immagine per mettersi a servizio dell’inchiesta e di una verità di informazione che deve lottare anche contro i meccanismi che la muovono, come il rimanere concentrata sull’obiettivo anche quando gli schermi di tutto il mondo trasmettono in diretta gli attacchi al World Trade Center. Un film di denuncia, che mette la propria luce su fatti tristemente oramai noti (ma che è sempre bene documentare), ma che permette anche alla Chiesa di riflettere sui propri meccanismi interni, capendo come la denuncia sia il vero riflesso positivo, al contrario dell’omertà che tenta di salvare una facciata logora.
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