Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film
Classico polpettone da Oscar? No, semplicemente un filmone. Qui, abbiamo anche Rachel McAdams, indubbiamente una figona, un Keaton in forma strepitosa e uno dei più grandi, sottovalutati attori del mondo, cioè Liev Schreiber. Che volete di più? Una Macedonia? No, non siete Alessandro Magno, cari magnaccia, ah ah. Mannaggia e mi arrangio!
Ebbene, oggi vi parleremo di una bellissima pellicola relativamente recente e, a nostro avviso, bella gente, oscarizzata giustamente. Eppur, ciononostante, il film da noi preso in questione, cioè Il caso Spotlight, è da molti a tutt’oggi sottovalutato e snobbato, con troppa facilità liquidato e soprattutto archiviato nell’orrida, fin troppo abusata classificazione, improponibile, inascoltabile e illeggibile che corrisponde all’espressione, anzi, per meglio dire all’irriguardosa, oserei dire nefanda parola compitino.
Tratteremo quindi de Il caso Spotlight (in originale, soltanto Spotlight, 2015), non di certo magnificandolo o un capolavoro definendolo, in quanto ci par ineccepibile asserire tostamente altresì che non lo è affatto. Però riconoscendone al contempo l’estremo valore alto e le sue forti qualità evidenti, marcatamente vincenti. Rimarcandone ed evidenziandovi dunque i chiarissimi pregi, ripetiamo, piuttosto netti. E sfidiamo chiunque a smentirci in merito a tale affermazione nostra orgogliosamente giusta, addirittura apodittica nel sacramentarne la sua potenza e intensità assai robuste.
Forse però Il caso Spotlight venne fin troppo lusingato, potremmo dire, ed esaltato dall’intellighenzia statunitense, tant’è vero che sul sito aggregatore di medie recensorie, metacritic, riscuote a tutt’oggi pareri unanimemente altissimi, leggermente esagerati, per una valutazione complessiva del superbo, eccessivo 93% di opinioni positivamente entusiastiche.
Diretto da Tom McCarthy, regista della perla L’ospite inatteso e de La ragazza di Stillwater, da lui stesso scritto assieme Josh Singer, a partire da un soggetto che a sua volta trasse spunto e ispirazione, notevolmente attinse all’articolo inchiesta del Boston Globe che s’aggiudicò l’ambito e prestigiosissimo premio Pulitzer, Il caso Spotlight vinse l’Oscar come Best Picture dell’anno e, in modo sacrosanto, tale appena suddetta sceneggiatura, ottimamente congegnata e nel suo fluido intreccio appassionante che non lascia un attimo di tregua e avvince totalmente, inchiodandoci alla visione per tutto l’arco della durata della sua corposità equivalente a centoventisette minuti adrenalinici e, ribadiamo tostamente, incalzanti, trionfò nella categoria, giustappunto, del miglior “original screenplay”.
Per ragioni di sintesi, ne riassumeremo la trama a grandi linee, testualmente estrapolandovela da IMDb e trascrivendovela nelle righe immediatamente seguenti, opportunamente inserendovi fra parentesi i nomi degli attori suoi protagonisti e i relativi personaggi da quest’ultimi incarnati:
La vera storia di come il quotidiano Boston Globe (in particolar modo del team di giornalisti, composto dal coriaceo e grintoso caporedattore Walter Robinson/Michael Keaton, soprannominato Robby, e dai suoi “adepti”-pupilli Matt Carroll/Brian d’Arcy James, Sacha Pfeiffer/Rachel McAdams & Mike Rezendes/Mark Ruffalo, alle direttive del sapido e intelligentissimo Marty Baron/Liev Schreiber, coadiuvati dal navigato e vecchia volpe Ben Bradlee Jr./John Slattery)) ha scoperto lo scandalo di molestie su minori e dell’insabbiamento del caso nell’Arcidiocesi locale, scossando l’intera Chiesa cattolica alle sue fondamenta.
Aggiungiamo noi, i nostri metaforici moschettieri della giustizia e dell’informazione più leale e coraggiosa, inevitabilmente si scontrarono contro un duro sistema apparentemente inscalfibile e difficilissimo da sconfessare. Ed è il caso di dirlo. Ma, grazie alla loro determinazione incrollabile, in virtù dell’indispensabile aiuto dell’irresistibile informatore Mitchell Garabedian, alias un maestoso Stanley Tucci, riuscirono, seppur osticamente, pian piano ad estorcere segreti inconfessabili all’ambiguo avvocato Eric Macleish/Billy Crudup. I nostri paladini della verità riuscirono nella loro impresa impossibile?
Confezione di gran classe, con musiche eccellenti di Howard Shore, per un film impegnato in puro stile anni settanta ammodernati alla concitata contemporaneità odiernamente hollywoodiana, Il caso Spotlight è assai lodabile, tipicamente imperniato e saggiamente modellato sul classico intramontabile Tutti gli uomini del presidente, traslando qui la sviluppata tematica in vesti anti-talari e/o polemicamente schierata contro un morboso, viscidamente criminoso, rigido, mostruoso ordine clericale smontato con arguzia e fine detection giornalistico-investigativa veramente prodigiosa e stoica.
Nel cast, di primissima scelta, in un parterre impeccabile in cui Mark Ruffalo e Rachel McAdams (entrambi candidati agli Oscar come migliori attori non protagonisti) si mettono in luce, svetta un Keaton in formissima e, al solito, il grande Liev Schreiber (The Manchurian Candidate, The Bleeder - La vera storia di Rocky Balboa), il quale recita con una magnifica sordina rilevantemente carismatica. All’apparenza inespressivo, come si suol dire superficialmente, invero capace di donare uno spessore psicologico veramente enorme al suo character, solamente con due tre occhiate e movimenti impercettibili della fronte, un gigante e un attore, oltre che regista (suo, infatti, Ogni cosa è illuminata) e sceneggiatore meraviglioso, troppe volte identificato soltanto come l’ex marito di Naomi Watts.
Sarebbe giunta, finalmente l’ora, diciamo noi, di ribaltare invece tale banalità disarmante. Semmai, è Naomi Watts l’ex moglie di Liev Schreiber. Lei è una bravissima interprete e una bellissima donna, certamente, ma Schreiber, ovvero il suo ex consorte, è un fenomeno che Hollywood soventemente ed erroneamente snobba in modo clamorosamente triste e preoccupante.
Liev Schreiber è superlativo sotto ogni punto di vista. Sinceramente, ci piacerebbe vederlo lavorare di più. Perché lui vale grandemente il prezzo del biglietto, obiettivamente ciò non va sindacato assolutamente. Sfidiamo chiunque a smentirci in merito.
Ho scritto merito, non marito ma Liev è emerito. Voi, un attore così, ve lo maritate? No, meritate? Ah ah.
di Stefano Falotico
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