Regia di Claude Lelouch vedi scheda film
1985. La scrittrice Salomé Lerner presenta la sua autobiografia nella storica trasmissione letteraria “Apostrophes” di Bernard Pivot. L’animatore vi scorge materiale esauriente per la realizzazione del film al quale stiamo per assistere. La definizione che compare nei titoli di testa, “Histoire romanesque pour piano, orchestre et caméra” (storia romanzesca per pianoforte, orchestra e macchina da presa) illustra molto bene l’intento dell’autore e spiega fin dall’inizio l’andamento di tutto il film. La storia è romanzesca come spesso avviene quando viene messa in scena una vicenda di persecuzione e deportazione di Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Pianoforte e orchestra si riferiscono al secondo concerto di Sergej Rachmaninov, che viene eseguito integralmente nel corso della pellicola, con l’aggiunta di un quarto movimento composto da Michel Legrand. La macchina da presa, dal canto suo, insegue i personaggi in tre diverse fasi temporali, con grande cura delle ambientazioni e dei costumi.
Ho l’impressione che nel realizzare questo film Claude Lelouch si sia interessato meno alla trama che non all’esercizio di stile e alla prova che si diverte a sottoporre allo spettatore. L’esercizio di stile consiste innanzi tutto nell’invertire il rapporto tra il film stesso e la sua colonna sonora. Non è la musica ad accompagnare l’azione e le immagini, ma il contrario. In tal modo, il filo conduttore non è costituito dalla storia raccontata, bensì dal succitato concerto di Rachmaninov, la cui impeccabile e incalzante esecuzione vale da sola la visione o più esattamente l’ascolto del film. Spesso inviso all’intellighenzia cinefila per le sue opere più popolari, Claude Lelouch riprende qui lo stile che gli valse apprezzamenti entusiastici e critiche acerbe quattro anni prima con il suo “Bolero”. In entrambi i casi, la narrazione è sorretta da composizioni di musica classica, si svolge in diversi periodi nei quali le vicende dei personaggi s’intrecciano con avvenimenti storici, si avvale di uno stuolo di attori di altissimo livello. Tuttavia, a dispetto della presenza di mostri sacri come Michel Piccoli, Jean-Louis Trintignant e Françoise Fabian, in “Partir, revenir” spiccano secondo me le prestazioni di Annie Girardot e Richard Anconina, madre intensa e figlio tormentato, le due figure trattate con maggiore introspezione in un film che si accontenta globalmente di schizzare i suoi personaggi, senza addentrarsi nell’approfondimento psicologico. Resta lo spettacolo, uno spettacolo di brillante fattura, che appassiona senza commuovere, un’opera astuta che non si dimentica facilmente.
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