Regia di Raffaello Matarazzo vedi scheda film
Chi ama il genere non può schivare Torna!. Strano a dirsi, ma è un film che al contempo riesce ad essere furbo ed ingenuo: ha tutti i pregi e tutti difetti del melodrammone popolare di matrice matarazziana. A Raffaello Matarazzo, Yvonne Sanson ed Amedeo Nazzari il merito di aver creato un genere che incarnava i sentimenti più ricattatori, la pancia di un Paese in via di sviluppo eppure ancora profondamente arroccato nelle sue tradizioni un po’ bigotte e un po’ sempliciotte. La storiella è la solita, rimaneggiata qua e là senza intaccare la sostanza della macchina narrativa: tra tradimenti presunti e corna inventate, frane devastatrici e donne remissive, uomini possessivi e figli di nessuno, catene che legano i cuori e tormenti che affliggono l’anima. Insomma, la fiera del già visto, ma messa su con semplice eleganza, noncurante provincialismo, delicata gravità. I fiumi di lacrime che versarono i nostri nonni non inondano più le sale: oggi sono lecite risatine e sorrisetti di fronte a situazioni di paradossale tragicità. Involontariamente buffo, ma è la barbarie contemporanea a non farci afferrare l’armoniosa sinuosità del film (che non vive di vita propria, ma solo in funzione del genere). A parte il viscido apporto di Franco Fabrizi, c’è solo una novità: il colore. La fotografia rilucente e vermiglia del Ferraniacolor dei primi anni cinquanta modella le forme con calorosa passione. È un’analogia che accosta Matarazzo ai mèlo americani: dopotutto, non è stato che un Douglas Sirk più casareccio e “rozzo”. Detto niente.
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