Regia di Paul Schrader vedi scheda film
Agente CIA affetto da una sindrome neurologica degenerativa e per questo messo a riposo, decide di ritornare in azione per seguire la pista che, tra Romania e Kenya, lo può condurre alla cattura di un pericoloso terrorista islamico creduto morto e che più di vent'anni prima era stato il sadico aguzzino che lo aveva torturato. Con l'aiuto di un giovane agente in debito di riconoscenza verso di lui e di una sua vecchia fiamma nell'intelligence rumena riesce a stanare la sua preda ormai ridotta all'immobilità da una grave malattia del sangue. Il loro comune destino appane ormai segnato.
Scritto e diretto da un vecchio leone come Paul Schrader e interpretato da un Nicolas Cage che mostra gli allarmanti segni di un declino artistico che lo rendono particolarmente adatto al ruolo di un personaggio male in arnese come il protagonista del film, questa spy story disconosciuta da regista e cast alla fine del montaggio, appare come un'opera spuria che, non ostante gli evidenti limiti imposti dalla produzione, può essere ascritta a buon diritto nella coerente filmografia di un regista che ha sempre mostrato il lato più oscuro e degenere del sogno americano. Afflitto da una insanabile incompiutezza del plot che circoscrive il perimetro dell'azione entro la prevedibile ellissi di una ineluttabile vendetta fuori tempo massimo e dalla incoerenza di passaggi logici e snodi narrativi che lo espongono alle soglie del ridicolo e dell'inverosimile, è tuttavia attraversato da un apparato simbolico-figurativo (una bandiera americana che campeggia squarciata al centro del salotto, una coppia di antagonisti dal destino segnato) e dall'insististito onirismo di una messa in scena che amplifica il febbricitante delirio del suo protagonista, che contribuiscono con singolare ed inaspettata efficacia a delineare un quadro di decadenza del linguaggio cinematografico particolarmente adatto alla rappresentazione di una visione politica, residuale e nichilista, quale deriva crepuscolare di una egemonia a stelle e strisce rintanata nel fortino di una inutile resistenza e dove una masnada di 'traditori...si limitano a guardare porno ed intercettare telefoni' come nell'ambiguo discorso auto-celebrativo che apre il film.
Dying of the Light (2014): Nicolas Cage
Se è vero che la singolar tenzone tra due antagonisti ormai ridotti ad una scontro fisico tra infermi contribuisce al dinamismo di un'azione drammatica che proietta nel presente un conflitto culturale posticcio e anacronistico, l'aspetto più qualificante del film di Schrader si staglia sul confine incerto e precario di un'ambiguità ideologica in cui non si riconoscono più i buoni dai cattivi, i nemici (di ieri) dagli amici (di oggi), il bene dal male e dove si confonde l'interesse di patria che fu con le ossessioni personali di fantasmi del passato che continuano a tormentare il presente del suo deforme e delirante protagonista.
Dalle parti di un'ambiguità espressiva meglio rintracciabile in opere di ben altro spessore ('Arlington Road'- 1999 - Mark Pellington; 'Spartan'- 2004 - David Mamet), questo spy-thriller senza arte nè parte sembra asseverare alla logica del complotto le tensioni latenti che lo attraversano, riservandoci quegli inaspettati guizzi di grande cinema cui solo un autore di sicuro valore come Schrader era in grado di dare forma; trasformando la maschera dolente e inebetita di un allampanato Nicolas Cage ('Omicidio in diretta' - 1998 - Brian De Palma) in un fantoccio smidollato e inane, nel campione di un primato di libertà e democrazia che si avvia al lento ed inesorabile crepuscolo della coscienza e della ragione.
In qualità di produttore esecutivo quel Nicolas Winding Refn che doveva inizialmente curarne la regia, per un film dalla distribuzione sofferta (prevalentemente Home video) e dall'accoglienza critica comprensibilmente contrastante. Il sonno della ragione,si sa, genera mostri.
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