Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
Commedia brillante che riesce a non scivolare nella farsetta da quattro soldi, e il rischio come vedremo era molto forte. Sydney Pollack era un regista eclettico che riusciva a lasciare il segno del proprio talento in generi molto diversi tra loro, e qui la delicata tematica del travestitismo a fini lavorativi e di tutti gli equivoci da esso derivanti mantiene una sua misura e una credibilità degne di considerazione, evitando la comicità sboccata e di grana grossa, con risvolti psicologici non banali. Pollack mantiene un ritmo invidiabile per quasi due ore, con dialoghi tambureggianti e un cast affiatato e in stato di grazia, e si può decisamente preferire questa commedia al successivo dramma romantico "La mia Africa", con cui trionferà agli Oscar qualche anno dopo. La metamorfosi di Michael in Dorothy regge grazie ad un istrionismo magistralmente controllato di Dustin Hoffman, attore che non si pensava potesse portare a compimento un simile compito; la visione dovrebbe essere obbligatoria in lingua originale, perché il doppiatore Ferruccio Amendola secondo me non riesce a differenziare nel modo migliore le due parlate diverse dei due personaggi. Il contorno di caratteristi è molto ricco e variegato e si avvale di attori in forma e spiritosi come Bill Murray, Teri Garr, Charles Durning e lo stesso Pollack nel divertente ruolo dell'agente di Michael; sono rimasto positivamente colpito da Jessica Lange, che vinse un Oscar come attrice non protagonista, capace di conferire uno spessore non trascurabile alla figura di Julie, comunque importante nel film perché fa scattare il cambiamento decisivo di Michael. La satira dell'ambiente televisivo delle soap-opera non eccede in cattiveria rispetto a quello che si è visto nei decenni successivi. Un bel risultato, anche se non si tratta di una pellicola di alte ambizioni autoriali, ma tra i film di cassetta di quegli anni è forse uno dei più divertenti e meglio costruiti ed ebbe un immenso successo commerciale. Bella anche la canzone di Dave Grusin "It might be you".
Voto 8/10
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