Regia di Dino Risi vedi scheda film
Nel cinema italiano ogni autore che dirige un film sulla terza età ha un modello che non può certo ignorare: Umberto D. di Vittorio De Sica, ovviamente. Col capolavoro neorealista, il malinconico film di un autunnale e non troppo cinico Dino Risi condivide una caratteristica fondamentale: tratta la vecchiaia per quel che è, una fastidiosa condizione esistenziale che non si può non esibire. Ad incarnare gesti e tic, iperboli e sottigliezze dell’anzianità è un maestoso Vittorio Gassman, il cui ritratto di nonno amorevole, suocero maltrattato e amico cortese è da inserire nella galleria umana più eccellente della sua carriera. Qui Gassman è Augusto Scribani, mandato in senilità avanzata (nonostante la non troppo vegliarda età) a causa degli elettroshock. Ha un rapporto elettivo con la nipotina e detesta reciprocamente la nuora. Il suo percorso all’interno del film è inquieto e delicato, si muove con triste eleganza ed ha dei guizzi che fanno anche singhiozzare: a parte gli sguardi assorti con la nipotina (memorabile al ristorante sulle note di Caruso di Lucio Dalla), è da ricordare la patetica scena dello show televisivo, che riflette ferocemente anche sullo sfruttamento degli anziani dal mezzo mediatico. Dino Risi era il regista più naturale per la storia. Lui, che specie negli ultimi anni non si era fatto remore nel descrivere (non solo al cinema, soprattutto nella vita – da leggere attentamente le agrodolci memorie nella sua autobiografia I miei mostri) con impietosa e cruda realtà gli aspetti più amari dell’età anziana. Stona fino ad un certo punto il lieto fine, comunque adeguato.
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