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Crude Oil

Regia di Wang Bing vedi scheda film

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La recensione su Crude Oil

di EightAndHalf
6 stelle

Questa installazione ritrae le vite e le condizioni di lavoro giornaliere di una squadra di lavoratori di una piattaforma di trivellazione e prospezione del petrolio nel distretto di Huatugou, su un altopiano 3,900 m sopra il livello del mare nella provincia Qinghai della Cina occidentale.

 

 

Trasformare la realtà in materia filmica, ma proprio tutta la realtà, i suoi aspetti più trascurabili, i suoi tempi morti, le sue attese, i suoi silenzi. Ad un incrocio fra Tie Xi Qu e He Fengming, Wang Bing osserva dei lavoratori come nel primo film, ma con l'immobilità del secondo film. Posiziona la sua telecamera in un punto ben studiato e ponderato dello spazio e contempla la vita vissuta di esseri umani alle prese con i propri problemi, e diventa quasi un pretesto, quello della constatazione delle condizioni di vita di questi operai, per poter giustificare una visione caleidoscopica e assai rigorosa della realtà. Ma Wang Bing non si lascia scappare l'occasione di raccontare cosa si cela in questi luoghi sperduti e desertici (l'origine del movimento di un mondo altro, quello sviluppato, che si muove grazie al carburante), e, da buon documentarista adeso alla verità dei fatti, utilizza questo suo esperimento (politico, certo, ma soprattutto cinematografico) per offrire allo spettatore uno squarcio di vita, per un'esperienza che più che essere vista, andrebbe vissuta. Diversamente però da quanto può avvenire per Feng Ai, o anche per il breve e fulmineo Brutality Factory, più che mai in Crude Oil osserviamo, e non oltrepassiamo mai la patina dello schermo.

Crude Oil è un'opera che nasce come installazione museale, come proiezione da farsi in loop nella sala di un qualche edificio dedicato all'arte. Non, certo, per la sala cinematografica. Motivo sostanziale: la poderosa durata, ben 14 ore, non propriamente movimentate, ma anzi particolarmente statiche, immobili, estremamente ridondanti, materia prima per una "sana" e perfetta alienazione. Le prime tre ore e quaranta (!) sono in questo senso assai eloquenti: contempliamo il gruppo di lavoratori intenti a riposarsi momentaneamente prima di dover andare a lavorare. Come zombie, stanno seduti come in dormiveglia, schiacciati in qualche angolo di una sorta di stanza di ritrovo, sempre deboli ed evidentemente esausti. Alcuni parlano lamentandosi dei salari, declamando le qualità dell'utilizzo del cellulare, intrecciando discorsi relativamente consapevoli di politica e storia, senza alcun tipo di vergogna e/o pudore di fronte a una telecamera che riesce a farsi parte dell'ambiente. Sarebbe interessante a questo punto riuscire a capire a che altezza stia lo sguardo di Wang, se voglia essere estremamente analitico (e non lo è, o meglio, non vorrebbe esserlo), se voglia essere inerte e passivo, oppure se voglia cercare di penetrare empaticamente nella vita degli operai, diventando uno di loro. Insomma, l'idea di base è che lo spettatore possa vivere in prima persona l'aridità e la bassezza delle prospettive di vita dei lavoratori, e quindi dovremmo anche noi farci lavoratori per quei pochi momenti. E qui Wang deraglia, non riesce a trasformare il suo cinema in vita, e rimane sempre fuori, rischiando un tracotante fallimento. Non è infatti con il fattore "tempo" che si può pensare di coinvolgere nella maniera più viscerale, anzi, il punto di vista dello spettatore non può far altro che perdersi, annacquarsi nei chilometri di pellicola, rifuggire i confini dello schermo stesso, e l'opera diventa realmente inerte, seppur con pretese evidentemente diverse.

 

 

Wang Bing realizzò il film in pochissimi giorni, e il suo progetto originario era una pellicola di ben 70 ore. Ridusse però il tutto a quelle (non brevi) 14 ore che caratterizzano l'opera attualmente, e cercò di montarle in maniera tale che sembrasse di vedere un giorno solo di lavoro estenuante e faticoso, e di tutto ciò che lo circonda, quasi in tempo reale. Così, se nella prima parte (prime simmetriche 7 ore) osserviamo l'attesa prima del lavoro (3 ore e 40) e il lavoro ripetitivo e "alienante" allo spuntare del sole (le restanti 3 ore e 20), nella seconda parte possiamo partecipare nuovamente a un'ora e 30 di lavoro per poi arrivare agli sporadici momenti di riposo degli operai, momenti a volte paradossalmente toccanti, in cui sembra di rivedere la liberazione momentanea di Die Grosse Stille di Philip Groning. Per finire, un altro po' di lavoro notturno, e una luna che fa fatica a illuminare le disgrazie umane, ché le nuvole la riducono a poco a poco a una luce fioca dispersa nel buio.

 

 

Il carattere relativamente ipnotico della pellicola (a detta di alcuni critici "propriamente" cinematografica, ma probabilmente più "da installazione") cresce solo nei momenti in cui, nella totale stasi, finiamo per meravigliarci di piccolissime cose, minutissimi eventi di cui non terremmo mai conto, come quel tè dentro un thermos che improvvisamente vibra, o come le decorazioni di un tetto che improvvisamente si piegano. Cose, insomma, che a sentirle destano il riso, ma che in quei momenti diventano vibrazioni di notevole efficacia. Certo è però che, come tutto il resto, non sono volute: il soggetto di Crude Oil è evidentemente documentaristico e, dunque, improvvisato, venuto al mondo da solo, spontaneamente. Niente è giustamente previsto, sebbene certi momenti calzino a pennello (il lavoratore che canta, in un momento di pausa, non si dimentica). Ma, nonostante la presenza assente di Wang, è come se il regista cinese forzasse in qualche modo la realtà, e facesse sforzare lo spettatore per cercare di sviscerarla, in un'operazione che non permette più una presa di posizione, e che costringe a un'analisi coatta (lo stesso entusiasmarsi per un tè che tremola è espressione di uno sguardo che deve stare a tutti i costi attento). Al che viene da pensare che Wang non destini il suo film alla fruizione, ma lo utilizzi come testimonianza, come "prova" vera e propria, da far visionare in piccole dosi, e che nel complesso è invedibile, quasi "anticinematografica". Dunque, estremamente adatta all'impianto di un museo, dove si può entrare e uscire in qualsiasi momento (cosa che è stata effettivamente fatta: Crude Oil non è mai uscito in sala). D'altronde il coinvolgimento è annullato dalla rigida fissità dello sguardo: la distanza è inevitabile, e la necessaria attenzione dello spettatore stona con il lento inabissarsi delle dignità umane degli operai. Però in certi momenti, come è già stato detto, scocca la scintilla.

 

 

<<Questa è la realtà, stiamo impazzendo>>, e nell'esplicitare un tema, si esplicita anche un nuovo ruolo dello sguardo di Wang, quello che salva Crude Oil in definitiva. In uno dei momenti di riposo gli operai si posizionano a guardare la televisione, e a vedere alcuni film di kung-fu. Qualcuno cita anche Crime Story con Jackie Chan. Il risultato è parecchio interessante, anche se potrebbe essere interpretato quasi come una presa in giro. Gli operai vedono il sogno del movimento, noi vediamo la realtà della stasi. Loro si divertono, noi siamo agghiacciati (dal tedio). Poco dopo, nella stanza di ritrovo, la telecamera diventa d'intralcio per il passaggio degli operai, e loro sono costretti a salire sulla panchina per passare oltre. A un certo punto un operaio scompare sulla sinistra dello schermo, e si chiede come funzioni la telecamera. E per un istante, la telecamera fa un breve zoom, quello che non aveva mai fatto: è l'operaio che cerca di utilizzarla, senza spostarla. Se anche noi siamo fuori, Wang Bing è dentro, ci è dentro fino al collo. E questa è un'encomiabile dimostrazione di sincerità.

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