Regia di Baldvin Zophoníasson vedi scheda film
Le vite si accavallano, si addensano, si appiccicano l'una all'altra. E continuano a farsi del male, finché sono così vicine. Intanto, qualcuno, in sottofondo, canta "Non ho l'età." Perché, dove lo spazio è poco, il tempo conta, eccome.
Fuori ruolo. La vita ti espelle, ti assegna un’altra parte. Ti deporta, ti sfratta, ti caccia di casa, ti fa uscire dalla tua pelle. In questo film l’alienazione potrebbe coincidere con un delirio alcolico collettivo, con un male che affligge la società islandese più della crisi economica, della disgregazione familiare, del crollo dei valori. O che forse, di tutte queste sventure, è solo la melanconica scia. È l’illusione umida e vitrea che deforma la realtà dal mondo subacqueo di una boccia di cristallo, di quella fishbowl che fa credere al pesciolino che l’universo sia tutto lì, piccolo e tondo, popolato di mostruose e fluide vicinanze. Nel mondo si sta stretti stretti, anche dove la densità abitativa è bassa, e la terra è lastricata di pericolose superfici ghiacciate. Il nemico mortale è un parente, è annidato tra le pareti domestiche. Solvi ed Eik si incontrano, per caso, dalla parte opposta del globo, e solo allora scoprono di non conoscersi, di poter essere estranei l’uno all’altra, e così far finta che niente sia importante, che la storia possa sospendersi, aprire una parentesi, ricominciare daccapo. Il poeta Mori è fuggito, si è allontanato mille miglia dal suo passato, senza mai spostarsi dal suo appartamento. Ha detto addio anche a se stesso, nascondendosi dietro i capelli lunghi e una barba incolta, affogandosi nella birra e nel whisky. Ma nel deserto sconfinato in cui ha trovato rifugio i suoi passi continuano ad incrociare quelli di Eik. Lo spazio è davvero limitato. Ci si respira addosso, impossibile sottrarsi agli odori altrui che impregnano l’aria, al tracimare dei liquidi che scorrono dentro e fuori dei corpi, seguendo l’inquietudine di esistenze che non hanno più una forma definita, che si devono reinventare, per lo più a sproposito. Fare la prostituta. Fare il vagabondo. Vendersi al miglior offerente. Tradire per il semplice gusto di farlo. Accantonare la propria identità, rinnegare le proprie origini. In questo racconto, il da dove veniamo è un intruso, che a tratti si affaccia, sgradito, come uno squarcio che interrompe la sequenza cronologica dei fatti, recando con sé la straniante incongruenza del come eravamo. Mori è irriconoscibile, Eik ha una doppia faccia, e ne ha forse una terza, segreta, che, se rivelata, scioglierebbe ogni ambiguità. Solvi, giovane agente finanziario in carriera, è l’unico personaggio il cui divenire è un processo che appartiene al presente, che si svolge sotto i nostri occhi: una muta simbolicamente innescata dall’immagine di un paio di stivaletti pitonati, visti ai piedi del suo capo durante un party aziendale. Un vinolento oblio è il vettore di un viaggio senz’altra meta che la stessa ebbrezza del non sapere più nulla, del non guardare oltre, in nessuna direzione. Strana prospettiva, per un film ambientato in un Paese in cui la vista si perde su distese sterminate, verso l’orizzonte del mare, in una solitudine che potrebbe abbracciare l’infinito. Eppure è la claustrofobia a vincere, insieme al sovraffollamento che ammassa i dolori individuali obbligandoli ad intrecciarsi, a trovare sempre nuovi modi di sbagliare e di ferire. Ovunque ci sono trappole e prigioni. Il lago gelato si spezza e non ti lascia più emergere. La malattia ti toglie la vita ma non ti regala il perdono. L’amore che hai dato è una spina nel cuore. La tentazione ha il volto luminoso e infido del successo. La poesia è solo una noia da consumare al bancone di un bar. La memoria affettiva un cumulo di roba da buttare via.
Questo film ha concorso per l’Islanda agli Academy Awards 2015.
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