Regia di Matteo Rovere vedi scheda film
Non amo i motori e le gare automobilistiche, perciò quando il film di Matteo Rovere uscì nella primavera del 2016 non lo considerai affatto. Il tam tam e le recensioni positive dei mesi successivi mi hanno obbligato a rivedere la mia decisione. Ed è stato un bene. La curiosità, che via via è cresciuta, è stata piacevolmente ripagata da una storia in grado di catturare il mio modesto interesse per l'argomento. Segno che una buon soggetto può fare miracoli. La musa ispiratrice del regista Matteo Rovere, per una volta, non è stata una bella donna ma il pilota di rally italiano Carlo Capone, uno che correva forte agli inizi degli anni 80 con la Lancia. Ma come spesso succede nel mondo delle competizioni, Capone, che era una cavallo di razza difficile da domare, si scontrò con i vertici della scuderia, di fatto, mettendo fine alla sua carriera, subito dopo aver vinto l'Europeo di Rally. La morte prematura della figlia e la successiva separazione dalla moglie, unite all'amaro ricordo delle gare, fecero cadere il campione in uno stato di profonda e cronica depressione che, solo per un breve periodo, fu mitigato dal ritorno alle corse come coach. Questa sfortunata figura del nostro sport è diventata Loris De Martino, il protagonista di "Veloce come il vento". Giovane asso del volante, diventato tossico ed emarginato, Loris, dopo 10 anni di assenza da casa, torna per il funerale del padre, scopre che la sorella gareggia nella scuderia di famiglia, e conosce il fratellino più piccolo di cui ignorava l'esistenza. A causa di quest'ultimo, che altrimenti sarebbe affidato ai servizi sociali, e di una madre irreperibile, i tre sono costretti ad una convivenza forzata nella casa dei genitori. Giulia, che ha talento da vendere, è giovane ed inesperta, e la mancanza di soldi la costringe a chiedere aiuto all'odiato fratello più grande. Se non vince il campionato non riuscirà a ripianare il debito contratto per partecipare al campionato italiano GT e perderà la casa di famiglia. Inizia così la difficile collaborazione tra il vecchio campione e la giovane promessa...
Loris è un gigantesco Stefano Accorsi che da vita ad un personaggio riuscitissimo. Capello lungo ed untuoso, tatuaggi a profusione su un corpo asciutto, denti ingialliti, unghie sporche, volto sfatto e movenze animalesche sono i segni epidermici di un uomo che non sa come gridare il proprio disappunto per una vita finita male. Forse un incidente ed una frattura al polso, che un inutile tutore ci ricordano, hanno messo fine alla sua carriera, e la droga è stata solo il rifugio per un sogno spezzato. Lo scontro con Giulia però, lo risveglia dal torpore mettendo in luce la sua dimenticata quanto strampalata ed irriverente vitalità. La sceneggiatura ci catapulta nel mondo delle corse e si incanala nei binari classici del genere sportivo seguendo le prodezze ed i drammi esistenziali della diciassettenne Giulia (una brava Matilda De Angelis) per poi uscire dal circuito sicuro e rettilineo del genere e percorre la tortuosa pista delle relazioni umane e famigliari opponendo alla protagonista un nuovo punto di vista, quello di Loris che diventa così punto focale della storia. Il cambio di rotta rende il film molto più interessante ed originale, e ci evita il classico epilogo alla Rocky. Ottima la regia di Rovere che dirige con leggerezza, con ritmo veloce ed improvvise decelerazioni per approfondire gli aspetti umani della storia con garbo, ironia e siparietti ben congegnati. Segnalo inoltre la splendida fotografia di Michele D'Attanasio che avviluppa i protagonisti nei loro abitacoli di una luce metallica e fredda come la mente e i nervi dei grandi piloti che possono sbagliare una curva ma vendono cara la pelle nella successiva. Questo film, in fondo, vuole ricordarci, che si può cadere e farsi male ma non è mai troppo tardi per rialzarsi e rimettersi in pista. Una discreta lezione per il nostro Paese che stenta a rimanere in carreggiata.
Chili Tv
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