Regia di Matteo Rovere vedi scheda film
Sorprendente film sui motori, le corse, ufficiali o clandestine che siano, ma anche la lotta di una giovane per non perdere il suo futuro e uno scarto sociale che non si ravvede mai del tutto (personaggio/interpretazione che non passano inosservate). Imperfetto quanto si vuole ma ulteriore dimostrazione che un cinema italiano diverso è possibile.
Dopo il supereroe romano è il turno del Fast and Furious alla bolognese. Il 2016 sta portando un po’ di novità nel cinema italiano dimostrando che se i colossi americani non si possono copiare, e sfidare apertamente, è altrettanto vero che si possono rimodulare su di un altro mondo, il nostro.
In questo caso, non si ritrovano le finezze di Lo chiamavano Jeeg robot, ma Matteo Rovere, dopo due film che si aggiravano tra l’agghiacciante (Un gioco da ragazze, 2008) e l’ambizione mal riposta (Gli sfiorati, 2011), sorprende nelle (molteplici) riprese a quattro ruote e approfitta in lungo ed in largo di un personaggio non arrotondato e non solo perché insegna come in gara le curve non si debbano fare per forza tonde.
Giulia (Matilda De Angelis) è una diciassettenne con i motori nel sangue e non vuole mollare le corse nemmeno dopo la morte del padre, anche perché se la stagione in atto non la vedrà trionfare, finirà con il perdere tutto ciò che le rimane.
Proprio mentre si ritrova da sola, si ripresenta alla sua porta Loris (Stefano Accorsi), il fratello sbandato mai conosciuto che anni prima aveva percorso le sue stesse orme; nonostante sia inaffidabile e perennemente fatto, il suo talento è l’unica speranza a disposizione della giovane per riuscire nella sua impresa.
Veloce come il vento lascia un miscuglio di impressioni proponendo il dramma, a rischio di eccessiva enfasi, l’adrenalina delle corse, riprese con svariate ottiche, il sentimento, senza far quadrare i conti con il solito schematismo familiare, e la commedia, ma tutt’altro che mitigata e capace di aprire soventi squarci che vanno al di là dell’omologazione più ordinaria.
Un ricco (e altalenante) impasto tracciato dai due protagonisti. Se il coraggio di Giulia ricorda una gioventù in lotta per non perdere il futuro, aspetto anch’esso raramente cavalcato (come se tutto andasse sempre bene), è il personaggio tossico di Loris a portar bene (anche qui, il cinema americano insegna).
Se nell’ideale il rischio scult era altissimo, in realtà il trasandato Stefano Accorsi funziona egregiamente, soprattutto quando si aggira sulle note più gravi, politicamente scorretto (esemplari in questo i metodi di comunicazione di Loris con il più giovane di casa che soprannomina Allegria ma anche i suoi insegnamenti sulla guida), perennemente sotto i fumi della droga, con un talento offuscato ma non del tutto annientato, un buon cuore segnato dai pregressi ma che batte ancora nonostante tutto.
Nei dialoghi, influisce positivamente la parlata emiliano-romagnola che fornisce un amabile tono casereccio e la consapevolezza ulteriore che la provincia italiana ha parecchio da dire e le lingue per farlo, poi arrivano le corse, un altro soggetto attivo.
Non solo circuiti, con le gare vissute fino all’ultima curva, ma anche l’asfalto cittadino (d’esempio l’aggressione per stimolare una fuga all’insegna della guida spericolata, quando si dice fare di necessità virtù) e poi le corse illegali, per le quali si opta per uno sfondo decisamente pittoresco (Matera) con soluzioni spericolate.
Va anche detto che il racconto non sempre avanza coeso e che si prende diversi spazi un po’ gratuitamente, quanto inutilmente, sovraccaricati, ma ha anche il coraggio di provarci sempre, di non farsi intimidire e di osare (già il trailer anticipa solo una parte lasciando poi spazio ad altro) sparigliando le carte, cambiando prospettiva con sfrontatezza e veemenza, anche se a volte finisce con il declinarsi in territori in prevalenza velleitari.
Vacca boia, vedi che se vogliamo in Italia possiamo fare anche questo (tipo di film) senza vergognarci dei paragoni internazionali.
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