Regia di Laura Amelia Guzman, Israel Cardenas vedi scheda film
Il fiore appena sbocciato e il fiore avvizzito: attaccati l'uno all'altro per non morire, anche se la fine è già lì, racchiusa nella prigione del tempo che passa, inesorabile, pur non sapendo da quale parte andare.
Nel romanzo di Jean-Noël Pancrazi le immagini sono sospese nel pulviscolo degli attimi. La realtà si stacca dal fondo per fare da cornice agli sguardi traboccanti di pensieri. E in questo film Geraldine Chaplin è tutta la storia. Il suo corpo e i suoi occhi svettano dall’ombra della vecchiaia per diventare espressione di una curiosità pungente, aguzza ed impertinente come le trafitture della passione. Nella conversione al femminile di questo amore diverso, mercenario, sbilanciato, impossibile, la malizia si impregna di un aroma dolcemente speziato, che vive dentro allo spazio spoglio e senza vento di un’intimità caraibica ridotta all’osso, essenziale e primitiva come una capanna sulla spiaggia. C’è un esotismo che è fatto di solo respiro, che si assapora in silenzio, sul limitare dell’assurdo. È l’arcana essenza del legame tra un’anziana turista francese ed una ragazza dominicana dalla pelle di rame. Una relazione così anticonvenzionale da non ammettere la pace del buio, da non potersi rintanare nel chiuso della clandestinità. La sua energia la spinge a correre allo scoperto, ad abbracciare l’evidenza con la disperazione di chi si aggrappa a qualunque cosa, pur di non rinunciare alla vita, che non può essere povertà, non può essere solitudine. Andare via è l’impulso che prevale su tutto, anche sulla paura di commettere errori fatali. Il racconto, impaziente, non riesce a stare nel tessuto della trama, non fa che rimandare ad altro, a quello che non c’è, non si trova, si è perduto, è irrimediabilmente lontano: una patria in cui non si vuole tornare, un figlio che non si può riavere, un esilio di cui non si conosce l’aspetto e neppure il senso. Anne e Noëli: due anime che si incontrano per perdersi, deliberatamente, fuori dalla consueta logica delle appartenenze – la famiglia, il fidanzato – e per costruire insieme un paradiso istituito per contratto, concepito dalla ragione ma plasmato dall’istinto, temporaneo eppure spalancato sull’infinito. La terra promessa è forse proprio quel nulla che si avverte tutto intorno, in cui si nuota come in una danza subacquea, restando muti, a scambiarsi seducenti incomprensioni. La grazia eterea ha come sostanza il vuoto; è piena di un’assenza di peso che le gonfia la veste, svelando una nudità così scarna e dimessa da bandire, per sempre, ogni sospetto di volgarità. Il decoro è disadorno, trasparente come la sincerità, anche la più crudele, quella che offende la bellezza, che sputa in faccia alla convenienza, che delude la speranza nelle favole. Questa storia è lo strascico di un sogno selvaggio che non intende svanire, anche se ha ormai assunto il diafano pallore della luna. I colori si sono spenti, lasciandosi dietro tiepidi concentrati di emozioni, sublimi ed eleganti nella loro decadente esilità. Sono l’ultimo sorso rimasto in fondo ad un bicchiere, alla fine della festa. O la ghirlanda calpestata di un ricordo da buttare, che si può ancora, per gioco, rigirare tra le dita.
Sand Dollars ha rappresentato la Repubblica Dominicana agli Academy Awards 2016.
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