Regia di Ole Giæver, Marte Vold vedi scheda film
Un weekend tutto per sé, per fare trekking in solitaria fra i boschi, sarebbe l’ideale per Martin - quasi quarant’anni, impiegato, un matrimonio quieto e un bimbo con cui parla di rado. Sarebbe l’ideale, se non fosse che nemmeno la pace e la bellezza lancinante delle selve norvegesi possono mettere distanza fra lui e il suo antagonista: se stesso, la sua coscienza di maschio occidentale privilegiato e frustrato, i suoi desideri incalzanti, la sua voce interiore incessante. Quella che ci accompagna per tutto il film, dalla struttura tanto esasperatamente minimalista quanto efficace: solo Martin è in scena, interpretato dallo stesso regista e sceneggiatore, e salvo pochissime incursioni di altri esseri umani nel suo percorso, l’unica voce udibile è quella dei suoi pensieri. Non una narrazione, né?una riflessione lirica sulla sua breve fuga a contatto con la natura; solo la diretta emanazione, grezza e spesso sgradevole, del lavorio del suo cervello. Il cordone d’affetto e di sensi di colpa che lo lega alla moglie; le fantasie inaudite su un’altra vita, senza di lei; il desiderio impellente di masturbarsi; la nostalgia esiziale per l’adolescenza, per l’età in cui tutto era possibile, prima che il possibile diventasse reale. Un monologo di sincerità disarmante, ideale complemento del Forza maggiore di Ruben Östlund, per come mette in scena il flusso di pensieri autoassolutorio e fallocentrico di un uomo ordinario, pervaso di ordinaria, sottile disperazione.
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