Regia di Mami Sunada vedi scheda film
«Non sono mai felice nella mia vita quotidiana. Fare film non causa altro che sofferenza». Parola di Hayao Miyazaki, che allo Studio Ghibli trascorre dieci ore al giorno, sei giorni a settimana, dedicando tutto se stesso alla creazione dei capolavori che hanno reso celebre la casa nipponica. Quando Mami Sunada ottiene l’accesso agli spazi del Ghibli (e allo spazio vitale del maestro Miyazaki, fra mille sigarette e altrettanti storyboard), sono in fase di ultimazione Si alza il vento e La storia della principessa splendente. Due opere dalla lavorazione ostica (Miyazaki si inceppa sulla raffigurazione dell’aereo Zero, di Takahata viene detto che «non ha mai consegnato un film entro i limiti di tempo o di budget»), la cui natura testamentaria pervade il documentario: si respira, nelle stanze del Ghibli, l’inizio della fine di un’epoca, l’imminente ritiro dalle scene di entrambi i maestri. Sunada ne approfitta per filmare Miyazaki e raccoglierne devota ogni frase, afflitta dalla necessità di sacrificare qualcosa al montaggio. Così, oltre allo sguardo dentro gli ingranaggi di una fabbrica di sogni (che illumina il ruolo del terzo volto di Ghibli, il paziente produttore Toshio Suzuki), c’è soprattutto il ritratto di un intellettuale la cui apparente amarezza («sono un uomo del XX secolo, non voglio avere a che fare col XXI») manifesta la medesima, acuta comprensione del mondo che ha reso grandi i suoi film.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta