Regia di Carmelo Bene vedi scheda film
L'idea di teatro di Carmelo Bene è - facciamocene una ragione - incomprensibile, o quantomeno intraducibile a parole: l'uomo-attore-scrittore-regista Bene è stato infatti un unicum nella storia della recitazione e della drammaturgia; ancor più fitto si fa il mistero, tentando di interpretare il concetto di televisione elaborato dal Nostro. Genio in quanto incapace di fare ciò che non può (e cioè che non è), Bene violenta coscientemente il testo di base, in questo caso l'amato (e pensa se fosse detestato!) Shakespeare e mette in scena un monologo incentrato sulla sua stessa, monomaniacale figura e su una serie di personaggi femminili che a malapena sono chiamati a recitare qualche parola qua e là (principalmente infatti le altre interpreti non hanno battute, ma sono tutte assistite in questo senso da una voce fuori campo che ne rappresenta il pensiero). Il progetto è realizzato per la tv di stato, cosa ambiziosissima, ma già tentata negli anni passati (nel 1974 era passata in Rai una versione dell'Amleto di Bene); le scenografie sono pressochè inesistenti, costumi e trucchi fanno il resto, colore poco e molte ombre caratterizzano l'immagine, ma soprattutto lo spazio sulla scena è rigorosamente dedicato a volti, mimica e voci. Come detto, Bene fa il bello e il cattivo tempo, ma al suo fianco troviamo anche l'inseparabile Lydia Mancinelli, Daniela Silverio e una giovane e già splendida (come rimarrà nei tre - quantomeno - decenni a venire) Laura Morante. Da capire, in fin dei conti, c'è poco: anche questo Riccardo III è materia da gustare, da ammirare, da studiare se si vuole, ma mai da mettersi a decifrare: il genio è, il genio non si spiega. 6/10.
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