Regia di Peter Schønau Fog vedi scheda film
Allan ha 11 anni e sembra l’unico a voler tenere insieme i cocci della sua famiglia disfunzionale, nella quale la madre subisce in silenzio i soprusi paterni, la sorella maggiore ha un rapporto morboso con il padre e quest’ultimo è arrivato allo scontro fisico con il fratello maggiore.
La prima e inevitabile constatazione è relativa alla definizione di “commedia”: davvero The art of crying può essere considerata tale? Alla luce dei toni grotteschi e di qualche momento scopertamente ironico, si vorrebbe cedere alla risposta affermativa, eppure la pellicola – tratta da un romanzo del danese Erling Jepsen con una sceneggiatura di Bo Hr. Hansen – abbonda in drammi e tragedie, sfoderando argomenti piuttosto gravi e non privi di risvolti disturbanti. Il cinema (la società, più in generale) nordico è del resto anche questo, basti pensare che i due maggiori autori emersi dalla Danimarca alla fine del Novecento sono Lars Von Trier e Thomas Vinterberg (Gli idioti, Festen). The art of crying non è opera dalla particolare profondità di sguardo e forse il difetto principale del lavoro risiede proprio in una certa leggerezza dei personaggi, mai caratterizzati psicologicamente a dovere (difficile per esempio capire, al di là di una discontinua venerazione paterna, cosa pensi realmente il piccolo protagonista); quanto al pregio più grande non si può non citare l’eccezionale fotografia dell’esperto Harald Gunnar Paalgard, estremamente luminosa e che riporta alle pellicole di qualche decennio prima. Bravo l’undicenne Jannik Lorenzen, all’esordio su un set, e bene anche il resto dei protagonisti: Jesper Asholt, Julie Kolbeck, Thomas Knuth-Winterfeldt e Hanne Hedelund. 5,5/10.
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