Regia di Jürgen Böttcher vedi scheda film
Come dice il titolo, il film è il ritratto di una generazione, quella nata sul finire della guerra e ora alle prese con la vita ormai entrata in un binario preciso. Il binario è quello tracciato dallo Stato della DDR per i giovani rampolli della nuova società: appartamentino bilocale assegnato, lavoro assegnato, previdenza sociale garantita, percorso di vita tracciato senza possibilità di deviare, divieto di guardare oltre. Dopo aver dato casa e lavoro ai cittadini, e dopo aver abolito Dio e la libertà di dare una direzione alla propria vita, i giovani si chiedono "E adesso? E' tutto qua?". La noia e la delusione del protagonista è quella di una generazione che comincia a porsi le domande della vita. Dopo gli entusiasmi degli anni '50, i grandi proclami sulle sorti progressive del socialismo e sulla felicità a portata di mano, mentre lo Stato costruisce per il popolo squallidi falansteri e casermoni, ecco che i primi nodi iniziano a venire al pettine, e con essi i primi dissensi.
Il regista è abile nel creare un'atmosfera grigia e l'immagine di una vita grama e senza sbocchi, elementi comuni a molti film tedesco-orientali. Lo fa con delicatezza e a tratti con lirismo, lasciando filtrare il messaggio, senza sbatterlo in faccia. In ciò è ben servito dalle belle musiche originali di clavicembalo e chitarra. E' una pellicola anti-narrativa, che cerca di comporre un ritratto più che di raccontare, di comunicare una sensazione più che illustrare eventi. E devo dire che ci riesce bene. Ricorda un po' "C'era una volta un merlo canterino" di Otar Iosseliani.
Dev'essere proprio per l'immagine della vita e della società data dal film che esso fu subito bloccato dalla censura. Potè vedere la luce dei proiettori solo nel 1990, dopo la dissoluzione della DDR, assieme a diverse altre pellicole che avevano subito la stessa sorte.
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