Regia di Josef von Sternberg vedi scheda film
Sebbene sia una delle opere migliori del periodo muto, “The Last Command” di Josef von Sternberg non è menzionato da molti. Ispirata da un aneddoto raccontato da Ernst Lubitsch a uno degli sceneggiatori (Lajos Bíró), la storia parla dell’ascesa e del tracollo dell’orgoglioso condottiero Sergio Alexander (Emil Jannings), ex ufficiale della Russia zarista che ha perso la testa per l’affascinante bolscevica Natalie Dabrova (Evelyn Brent); nonostante le differenze di ideali e la diatriba di Alexander col collega di Natalie, Leo Andreiev (William Powell), i due personaggi, agli antipodi, intraprendono un controverso rapporto sentimentale che li trascinerà verso risvolti funesti. Anni dopo Alexander si riprenderà il ruolo di generale, ma questa volta nei panni di un caratterista di Hollywood beffato e sottopagato… Jannings aveva vissuto sulla propria pelle il declino artistico conseguente alla partecipazione di alcuni lungometraggi di propaganda contro il partito nazista, e fu particolarmente efficace nel ritrarre icasticamente profili tragici e masochisti; la proverbiale verve teatrale venne suffragata dalle perspicaci idee nella direzione di Sternberg, il quale, grazie ad inquadrature evocative ed ellissi sferzanti, illustrò una considerevole retrospezione nella componente narrativa. Inoltre, la performance di Jannings trasmette all’audience diverse emozioni che iniziano dal disprezzo e traboccano, nelle fasi finali, nella pietà e nella compassione. Quando Alexander si confronterà sul set con il ribelle che fece arrestare, le reminiscenze si riverseranno sulla memoria di entrambi e il sottotesto politico poterà lo spettatore a porsi una domanda inevitabile: chi sono i veri patrioti? Quelli che combattono per il popolo o i sudditi del sovrano? Nel frammento in cui si ritroverà nella riproduzione fittizia della trincea desolata, interpretando se stesso (o più precisamente, la carica di comandante militare che ebbe agli albori del secolo), Alexander viene completamente sommerso dai ricordi degli eventi originali della guerra. Le allucinazioni sciorinano i vari strati della rappresentazione interna ed esterna alla scena; mediante l’illuminazione tagliente di Bert Glennon e le seducenti movenze della mdp, le ondulazioni delle messe a fuoco e delle trasparenze diventano degli espedienti simbolici che, da un lato, evidenziano il potere della creazione cinematografica, e dall’altro i suoi esiti distruttivi. Il flusso poetico delle immagini chimeriche si concretizzerà attraverso uno stato di osmosi dello spirito; verrà però seguito dalla caduta rovinosa di un uomo che, sfiancato da quell'atto decisivo imposto dallo script (l’ultimo comando suggerito dal titolo), ha dissipato ogni contatto con la realtà… Powell e la Brent sono sempre convincenti nell’istaurare un’alchimia pungente col protagonista, anche se va notato che le rispettive parti di Leo e Natalie si avvicinano spesso alla caricatura; Jannings, invece, è eccezionale (le espressioni degli occhi e del volto gli instillano un’intensità di introspezione che non necessita la parola) e oltre a sfoderare un carisma poderoso mostra pure una delicata fragilità emotiva nei segmenti salienti, concentrando la nostra attenzione su ogni aspetto della sua esibizione, e vincendo, non a caso, l’Oscar come miglior attore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta