Regia di David Lynch vedi scheda film
Tratto da una storia vera, The elephant man racconta delle vicissitudini di questo uomo dalle sembianze deformi che vive in una Londra industriale e turbo capitalistica. Lynch gira un film meraviglioso in uno splendido bianco e nero. Il film è pieno di elementi simbolici e analogici inseriti all'interno di una fortissima denuncia sociale: il vero mostro non è Jhon Merrick, bensì il prodotto di una società capitalistica nella quale il proletariato, sul lastrico, vede nel protagonista una merce e un'occasione di profitto, senza considerare minimamente la persona sotto la pesante e irremovibile maschera. Jhon Merrick è un uomo mascherato due volte, la prima per sventura naturale e la seconda per sventura sociale: egli non può esprimere se stesso se non con poche anime buone, che lo accolgono (non senza riflessioni morali) nella propria vita e sono disposte a trattarlo come loro pari. Interessantissimo anche l'astuto meccanismo con il quale Lynch nasconde per la prima parte del film il volto del "mostro", generando nel pubblico un forte desiderio voyeuristico verso il macabro e il grottesco, alimentato dall'invidia nei confronti dei protagonisti che hanno avuto modo di assistere allo "spettacolo". Jhon Merrick è sul palcoscenico della propria tragedia, con un deus ex machina che non sempre giunge in tempo e che lo costringe ad affrontare l'amara realtà. Il finale, così dolce e carico di significato, è la perfetta conclusione di un ciclo che si chiude, lasciando nel pubblico una sensazione allo stesso tempo di malinconia e tenerezza, di compassione ed empatia. Ma il film funziona proprio in virtù di questa compiutezza, che lo rende un capolavoro inestimabile.
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