Regia di David Lynch vedi scheda film
Un’opera imperdibile, un patrimonio umano che diffonde umanità. Tutto grazie a un uomo definito “elefante”…
Joseph Carey Merrick nacque in Inghilterra il 5 agosto 1862 affetto da una malattia congenita, che tra il 1979 e il 2003 venne identificata e denominata “sindrome di Proteo” anche grazie a prelievi di DNA fatti sull’ormai defunto Uomo Elefante.
La sua storia giunge ai giorni nostri principalmente grazie a due scritti: il primo del dottor Frederick Treves (“The Elephant Man and Other Reminiscences”) e il secondo (“The Elephant Man: A Study in Human Dignity”) di Ashley Montagu, antropologo principalmente; mentre Montagu scrisse il suo saggio a posteriori, che fu frutto di lavoro di ricerche, Frederick Treves non solo fu suo contemporaneo, ma fu il medico che si prese cura di lui e l’unico essere umano a diventargli amico.
Quest’espressione. . . “essere umano”. . .ogni volta che la ascolto o la pronuncio mi rimanda alla scena madre di tutto il film: il povero Merrick, per tutta la vita vittima di pregiudizi e soprusi, che fugge da una folla che lo assale in una stazione ferroviaria, si rifugia nei bagni e quando viene sovrastato dalla calca urla: “I am not an animal! I am a human being! I. . .am. . .a man!”
“Sono un essere umano!”. . .reclamava la sua appartenenza al genere umano dinanzi ad un’umanità che di umano nei suoi confronti aveva ben poco.
Solo a scrivere queste parole mi si riempiono gli occhi di lacrime, simili a quelli dello straordinario Antony Hopkins che interpreta in questa pellicola uno dei ruoli che lo consacrarono quale attore cinematografico di rilievo dopo i suoi successi teatrali, proprio il medico Frederick Treves; assegna al suo personaggio una dolcezza, un’eleganza, una compostezza e una dignità di un livello tale che pochissimi altri attori sarebbero stati in grado di eguagliare.
Il personaggio di Hopkins si trova dinanzi ad un dilemma di ordine morale: quanto è sincero, disinteressato, umano appunto il suo impegno a studiare il caso di John (Joseph in realtà, il medico riportò erroneamente nei suoi testi il nome John) Merrick? Era per l’eccezionalità della malattia e del risvolto che poteva assumere la sua carriera? O era mosso da sinceri sentimenti di affetto e umana compassione?
Il dottor Treves si dimostrerà un gran brav’uomo, e Hopkins ne è stato un degno interprete.
John Hurt interpreta il protagonista egregiamente (candidatura all’Oscar per lui); inutile ribadire quanto sia stata complicata l’interpretazione di un uomo così menomato nel linguaggio, nella deambulazione e nella postura. . .Hurt è stato magnifico.
Una curiosità degna di nota riguarda ciò che ha reso possibile la trasformazione fisica dell’attore; il trucco è stato realizzato ricavando dei calchi dal corpo del defunto sig. Merrick, pertanto allo spettatore viene offerta la possibilità di farsi un’idea reale (il che assegna dignità all’uomo di cui si parla e all’opera cinematografica che se ne occupa) di quanto angustiosa, penosa e opprimente sia stata l’esistenza di questo ragazzo, prigioniero senza speranza di un corpo deformato che intrappolava lui e i suoi sogni.
Un ragazzo, perché Joseph Merrick mori l’11 aprile del 1890 a soli 28 anni.
La sua breve vita non è passata inosservata nè ai suoi contemporanei (divenne davvero un favorito della regina Vittoria) che alla storia, e interessarci a questa pellicola, parlarne, diffonderla aiuterà a rendere un pochino più giustizia a un essere umano che di giustizia dalla vita (intesa come uomini e fatalità) ne ha avuto ben poca.
Il film ha ottenuto in tutto 8 candidature ai premi Oscar e ha trionfato ai BAFTA.
David Lynch, un artista in senso pieno, è agli inizi della sua carriera di regista, meno visionario rispetto ai suoi lavori successivi, ma dirige un film che ti spalanca il cuore.
Regia garbata e con uno stile che richiama non solo il cinema classico, ma addirittura il periodo del muto, espressivo e incisivo, una calamita per i sentimenti.
Poi il bianco e nero fa tutto il resto. . .
I temi portanti sono attualissimi, quali la tolleranza verso le diversità altrui, la benevolenza senza secondi fini da manifestare a tutti a prescindere ma verso colui la cui vita si è dimostrata ingrata specialmente; immagino l’utilità e l’effetto di una simile opera utilizzata a livello didattico nelle scuole per sensibilizzare e trattare temi come inclusione e bullismo.
“The elephant man” è un film che mi responsabilizza in qualità di essere umano. . .se dovessi comportarmi diversamente, tanto meglio se fossi nato elefante.
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